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Arzulu sand’arzulu L’autore di questa strofetta non lo conosco, ma molti nuscani potrebbero averla scritta e soprattutto praticata prima che birra e alcool forte, pubblicizzati dalla televisione, pigliassero il posto della bevanda più nobile che Dio ha creato. Leggendola non posso fare a meno di pensare al personaggio che più degnamente l’avrebbe potuta scrivere, iI nonno materno: Pietro Della Vecchia. I miei primi ricordi sono di quando avevo sette anni, nel 1951, in via Scarpitti ove sono nato, c’era un torchio e ogni anno, in autunno, gli asini facevano la fila per scaricare l’uva proveniente dalle campagne nuscane. La gente del vicinato aiutava a scaricare e a spingere la grossa trave per spremere le vinacce, poi tutti, anche noi bambini bevevamo il mosto dolce e profumato che ci inebriava e ci faceva saltare di gioia. A casa mia,quando il vino era poco, mio padre spegneva la luce sul deschetto e accendeva quella più forte, al centro della stanza, riempiva i bicchieri, proporzionalmente alI’età, poi con aria solenne raccomandava: -Ragazzi,bisogna prima sentire II pro fumo e pol sorseggiare piano,piano. - Fatta la prima comunione, insieme ad Arcangelo andavamo tutte le mattine a servire la messa a Santa Maria Vetere. Ogni volta che versavamo l’acqua nel calice, don Egidio borbottava, mentre col vino non diceva mai basta. La cosa m’icuriosiva e tra di me pensavo: “Ma se pure il prete lo beve, dev’essere una cosa buona” e di nascosto giocavamo anche noi a celebrare la messa, almeno la parte che riguardava il vino.Col cugino Pietro, spaccammo il barile della nonna per provare il vino che teneva chiuso e nascosto nella bottega “Ngoppacastiellu”. Quando volevo un po' di soldi, in generale cinquanta lire, andavo a “casa” del nonno da “Frashchitella” Appena mi vedeva, gridava contento: -Itaniellu, comare Antonietta, è arrivato mb nipote Pietruccio, portateci da bere, serviteci un quartino, io cercavo inutilmente di convincerlo che non ne avevo voglia, ma non c’era niente da fare. -Se vuoi i soldi, prima devi bere II vino- e cosi piano, piano, a contro voglia, mandavo giù la bevanda che faceva cantare e dir la verità al nonno. Nel 1961 emigrai in Svizzera, a Willisau. Le prime paghe non mi perrnettevano un vino di buona qualità, allora per la domenica compravo “Montagne” un anonimo vino fatto con chissà che cosa, ma sicuramente non con l’uva, proprio corne il “Folonari” a Nusco. Man mano lo stipendio aumentava e cosi potei passare allo Barbera, ma sempre in bottigbie da unlitro. La prima sbornia e sicuramente l’ultima,perchè da quel giorno mi ricordai le parole di mio padre, la presi in occasione del mio diciannovesimo compleanno con gli amici Franco e Dino, un calabrese ed un veronese, a farne la vittima fu un fiasco di Chianti. Al Ioro ritorno dalle vacanze, provai il Cirò ed il Valpolicella. Nel marzo del 1964 lasciai Willisau per Payerne, qui trovai Pietro Brundu, amico d’infanzia e insieme apprezzammo i bianchi svizzeri freschi e frizzantini: “La commune de Payerne, Château de Vinzel, Aigle”. Nel 1967 con mia moglie tornammo a Nusco e facemmo un pellegrinaggio a Campo per salutare e conoscere i tanti parenti e... “l’Asprinu ri Jurundinu” un prodotto esclusivo dello zio Giuseppe Delli Gatti il quale, ogni volta che tornavamo, ci ripeteva: -Dovete scusarmi ma quest’anno II vino non è tanto buono, è un po' aspro, però non fa male perchè è veramente naturale.- Negli anni ‘80 l’amico Pietro, che nel frattempo aveva lasciato l’emigrazione e tornato a Nusco, forte dell’esperienza elvetica, aveva incominciato a sperimentare il suo “Barbanico” che col Barbera dei Colucci sono sicuramente i migliori vini della zona. In Svizzera i vini italiani non godono di un’ottima reputazione come b sono i francesi. Parlare di vino italiano significa fiaschi,pizza,roba allegra senza pretese. La scarsa protezione della qualità a profitto della quantità ne è la principale causa e purtroppo né DOC né DOCG sono riusciti a migliorare la situazione. Ad ogni discussione con i miei cognati svizzeri,gustando un “Château Lafite Rothschild” un “Château I’Angelus”,animato anche da un pizzico di nazionalismo,accendevo discussioni e confronti che regolarmente perdevo. Non mi davo pace perô,dovevo assolutamente trovare vini italiani degni di mantenere il confronto con i prestigiosi vini francesi. La mia ricerca mi portô al Piemonte con i van Barbaresco, Barolo e alla Toscana col Brunelbo di Montalcino,Sassicaia. Finalmente quella che era stata una mia intuizione adesso diventava realtà: c’erano vini italiani che non temevano confronti. Continuando la mia esplorazione scoprii che ottimi vini esistono in tutta l’ltalia a cominciare dal Recioto amarone della Valpolicella per continuare col Sangiovese di Romagna,col Torgiano dell’Umbria,col Salice salentino, col Corvo di Salaparuta,col Cannonau di Sardegna e con i nostri Aglianico,Fiano e Greco. Ma il vino buono non appartiene solo a Francia e Italia,molti altri paesi non hanno niente da invidiare a questi ultimi,io mi limiterô a citare quelli che conosco per averli bevuti personalmente e cioè gli spagnoli Vega Sicilia che è un Ribeira del Duero,il Faustino 1 ° che è un Rioja,il portoghese Mateus sia bianco che rosso. Due cose divertenti mi sono capitate viaggiando:
Mio nonno materno si chiamava Pietro Della Vecchia, ma la gente lo chiamava “Pitinalu” il soprannome che gli avevano affibbiato fin dalla giovane età a causa di un difetto nella pronuncia.
-Oh Malvaggi! Oh peccatori che avete dimenticato le parole del Signore, il cielo vi punirà, esso si oscurerà e sulla terra si abbatterrà un grande flagello!
Solo gli asini di Angelo potrebbero dire quanti viaggi abbiamo fatto nelle campagne per raccogliere la legna necessaria per il più bel fuoco di Sandanduonu. è il precetto più facile da applicare perchè a casa sono sempre giorni proibiti mentre i vicoli dietro la chiesa profumano di arrosto stuzzicando il naso e pizzicando lo stomaco. A sera, dopo le preghiere e i canti, alla chiesetta è guerra:-Ragazzi prendetele e mettetele sotto terra, vedrete si trasformeranno in tante monete d’argento. – e noi ingenuamente: Alla fiera del Carmine i miei genitori mi comprano un vestito, il primo in vita mia, ricevo anche un paio di scarpe fatte da mio padre, finalmente senza chiodi. E mentre mio padre piangeva ad Avellino, io scoprivo la Svizzera senza aver mai visto l’Italia Elena Stellato, quante cose ci hai insegnato: "un, deux, trois je vais dans les bois. Quatre, cinq et six cueillir des cerises." Però non ci hai mai spiegato che vuol dire "emigration" Mi hanno scritto che i ceci maturano, che donna Eugenia è in paradiso, Felice è all'inferno, che don Egidio non dice più messa a S.Maria Vetere, che le lucciole svolazzano per la piazza e per il corso, spavaldamente... dell’acacia nessuna notizia!
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Eravamo troppo appassionati di sport, in special modo di calcio. Leggevamo tutti i giornali del lunedì: "Il Mattino" e il "Roma" da Tonino al bar mentre "Il Tempo" ce lo passava Amato dopo che il dottore lo aveva finito di leggere. Il martedì, se il Napoli vinceva compravamo "Sport Sud" se no lo prendevamo il mercoledì dopo che Pasquale il giornalaio, ne aveva tagliato la fascetta. Il nostro sogno era di andare una volta a Napoli per vedere Vinicio e Pesaola, però mancava la cosa più importante e cioè i soldi. Quando venne il turno di Cenzino, Angelo spense la luce lasciando solo una candela accesa e da dietro le quinte improvvisate con le pale e gli utensili del forno, diede le ultime raccomandazioni, poi il segnale.Cenzino con voce cantilenante e infantile, era l’unico che ancora non aveva messo peli, chiamò l’oste come se chiamasse la mamma: -Oste? Oste della malora? Portami da bere? - Angelo diventò furibondo, accese la luce lo prese per un orecchio per mandarlo via. Cenzino, che desiderava tanto recitare, implorò: -va bene, sarà l’ultima volta però. Tu devi arrabbiarti chiamando l’oste, hai capito? E soprattutto non devi cantare quando parli!- Replicò Angelo, mentre nei suoi occhi brillava qualcosa di strano. Prima di rispegnere la luce, a noi che facevamo la comparsa come clienti della taverna, fece il segno tipico della mano aperta. Cenzino si applicò al massimo, ma era veramente negato, appena fini la "litania", gli fummo addosso e a candela spenta, prese tante botte proprio come il maestro comandava. Cenzino ingenuamente si convinse, ma oramai era cosi impaurito che l’ennesima prova fu proprio una pietosa lamentela. Non ebbe il tempo di finire che gli fummo tutti addosso, ognuno con un proprio compito, tiratura di orecchie, pizzichi ecc. Qualcuno però non rispettò i patti e diede sfogo alla sua immensa fantasia mordendo il povero Cenzino ad una gamba. Studiammo e provammo tanto affinché "Sangue romagnolo" diventò "Sangu ri Vagnuli". Il finale era impressionante: Mario, l’acrobata che passava le giornate arrampicato sugli alberi a caccia di nidi, saltava dalla cima del forno, un paio di metri, sul palcoscenico per salvare Ferruccio diventato ormai "Mengu" La domenica fu un trionfo, il forno era pieno; almeno 50 ragazzi pagarono 20 lire per il biglietto d’entrata cosi Angelo poté pagare gli attori: 40 lire a Mario per ruolo pericoloso e 20 lire a tutti gli altri. Continuammo per molto tempo mettendo sempre qualche soldino da parte finché la prima domenica di marzo si presentò la grande occasione: Napoli-Roma allo stadio del Vomero a Napoli. Sognando il confronto Vinicio-Da Costa ci accorgemmo purtroppo che i soldi non erano abbastanza.Con un pizzico di delusione ci fermammo ad Avellino, al Piazza d’Armi ove per il campionato di serie D si giocava Avellino-Akragas.
IL CICLISMO
Pure Angelo aveva una bicicletta da corsa, per lui era differente, lui lavorava sodo aiutando i suoi genitori al forno e pascolando gli asini. Spesso partivamo da Nusco, scendevamo fino alla stazione senza forzare a causa dei freni che non erano proprio in buono stato. Una volta finita la discesa davamo sfogo a tutta la nostra frenesia e alla voglia di correre tra sali e scendi e falsopiani. La strada ci apparteneva perché il traffico era quasi inesistente, ci sorpassavamo in continuazione, scatti volate, cambi senza mani, in un baleno eravamo a Bagnoli dove però tornavamo indietro. A secondo della stagione, ma sempre in territorio nuscano, facevamo raccolta di fave fresche, ceci verdi, mele, uva, prima di cimentarci con S.Martino uno dietro l’altro in una perfetta armonia. Dalla cava di pietre però fin al paese, il gioco finiva, non era per cattiveria, ma per il bisogno di vedere chi era il più forte, di sognare per un attimo di essere un grande campione. Per vedere il giro della Campania, andammo fino all’Agerola in provincia di Napoli, dove era previsto un traguardo per il gran premio della montagna, era proprio una sua idea fissa! Non perdeva un’occasione per inventarne una nuova, ne sa qualcosa proprio Amato.
LA CORSA A PIEDI
Per finire in bellezza il giro di Nusco a piedi, c’era una tappa a cronometro che partiva da S.Antonio e arrivava in cima al castello. Correvano una quindicina di ragazzi e il distacco tra il primo e l’ultimo era minimo perché Angelo aveva organizzato abbuoni, traguardi volanti e gran premio della montagna, proprio come al giro d’ltalia. Il guaio era che non avevamo un cronometro e poi, anche se l’avessimo avuto, come far partire il tempo, i concorrenti e essere all’arrivo nello stesso tempo? A lungo studiammo come realizzare partenza e arrivo con un solo cronometro ma non riuscivamo a trovare niente di valido, disperati decidemmo di sostituirla con una normale prova in salita. II giorno precedente l’avvenimento, facemmo le prove: Michelino si appostò sullo stradone a metà distanza tra la partenza e l’arrivo e da dove poteva vedere quasi tutto il percorso. Accese il primo petardo, Angelo, all’arrivo, fece partire il cronometro mentre io scattai, in un baleno fui alla prima curva, quella di S.Antonio, feci la salita fino all’immondezzaio dove girai a destra, divorai il falsopiano prima d’attaccare la salita micidiale del castello dove arrivai con la lingua di fuori dopo 2 minuti e 11 secondi, un tempo eccezionale secondo l’esperto cronometrista. Il giorno della corsa, a parte un petardo bagnato, tutto procedeva per il verso giusto, ad ogni colpo partiva un concorrente nell’ordine inverso della classifica: l’ultimo, il penultimo, il terzultimo e poi man mano tutti gli altri. I tempi si aggiravano attorno ai 2 minuti e mezzo. Al momento più importante, la partenza di Gennaro, il primo in classifica, tutti concentrati aspettavano il segnale di Michelino, non si sentiva una mosca vobare. Ci fu un colpo diverso dagli altri, più profondo ma meno esplosivo, meno lungo. Gennaro che io a mala pena trattenevo, scattò come un cavallo imbizzarrito. Non era arrivato neanche alla curva di S.Antonio quando parti lo sparo, quello di Michelino. Nessuno capì quello ch’era successo ma curiosi di sapere, corremmo per la scorciatoia, quella degli stradoni, fino all’arrivo dove Gennaro concluse la prova con un tempo da record mondiale: 1 minuto e 35 secondi.
L’IPPICA
Angelo aveva due asini: Coralonga e Piericurti. I genitori li utilizzavano per trasportare la legna per il forno. Ogni tanto lui li portava Ngoppacastiellu o alla casa popolare a pascolare. Noi aspettavamo quel momento con molta gioia e lo accompagnavamo nella speranza che ce li facesse cavalcare. Quando questo succedeva, la zona diventava il Far West, Coralonga diventava fulmine, Piericurti uragano e noi Pecos Biil, Bleck macigno, Capitan Miki. Adesso ci penso e mi viene da ridere, dieci Iunghezze di distacco saranno almeno quindici metri, ma allora per Angebo era allo sprint.
LA LOTTA
Angelo era al centro e noi tutti intorno formavamo un cerchio, ad un tratto, con voce solenne proclamò: -Vi ricordo che è proibito tirare calci o pugni, questa è lotta greco-romana e bisogna rispettare l’avversrio. Colui che resta con le spalle a terra per almeno 10 secondi perde la sfida.- Due ragazzini aprirono i combattimenti, era l’avanspettacolo. Si avvinchiarono, caddero per terra, rotolarono più di una volta finchè Tonino venne proclamato vincitore. Angelo ritornò al centro del cerchio, subito ci fu un grande silenzio, tutti aspettavano l’annuncio del grande evento: -Attenzione! Pitrucciu è campione di Ngoppacastiellu, io gli pongo una pagliuzza sulla spalla, se qualcuno è capace di togliergliela, si facesse avanti. – La solennità venne appena disturbata dai mormorii dei presenti che si affannavano a pronosticare chi mai avrebbe accettato una simile sfida, poi quando Pundillu avanzò ci fu un silenzio di tomba: -Ce la levo io- disse con aria spavalda -io non ho paura di nessuno!- Se pur molto forte in quel tipo di lotta, cominciavo a dubitare vedendo il primo attaccabrighe del paese avanzare sicuro di se. Assunsi un’aria minacciosa mettendo le mani nei fianchi, come la situazione imponeva. Pundillu avanzava sempre più, io gonfiavo le spalle sperando impaurirlo e fargli cambiare idea, ma tutto fu inutile. Quando mi fu vicino, senza pensarci due volte, spazzò via la pagliuzza; ci fu un boato, e con la complicità di Angelo, i compagni intonarono: Angelo, al colmo della gioia, come se avesse vinto lui personalmente, cominciò a contare accompagnato dai tifosi: -Uno-due ... otto-nove . . . - Convinto che era oramai fatta, lasciai la presa, ma questo mio eccesso di fiducia mi costò caro perchè Pundillu alla faccia della lealtà sportiva ma soprattutto alla mia affibbiò una tale colpo da farmi vedere tutte le stelle, provai ad asciugarmi il sangue che colava dal naso ma ricevetti un pugno sull’occhio. Ero stordito non vedevo e non sentivo più niente. Ma cosa mai poteva importare a Pundillu e ai suoi amici di Sandurunatu, loro erano scappati via. A me restava l’affetto e l’abbraccio dei compagni, non tanto per il mio sangue versato o per l’occhio nero quanto per l’onore di Ngoppacastiellu salvo
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