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Vino

Angelo

Il Nonno

1961

 

IL VINO

 

       Arzulu https://lh3.googleusercontent.com/-pUuLHVsW6oc/Vda1DKAaMoI/AAAAAAAAa3g/1zmgRK7d4bk/s158-Ic42/Arzulu.jpgsand’arzulu
    i’ pu te vavu scavuzu e nuru.
    Pu quiru Diu chi t’ha criatu
    tannu ti lassu quannu t’aggi sculatu. 

 
 
 

L’autore di questa strofetta non lo conosco, ma molti nuscani potrebbero averla scritta e soprattutto praticata prima che birra e alcool forte, pubblicizzati dalla televisione, pigliassero il posto della bevanda più nobile che Dio ha creato. Leggendola non posso fare a meno di pensare al personaggio che più degnamente l’avrebbe potuta scrivere, iI nonno materno: Pietro Della Vecchia.
La storia del vino è antica, la bibbia racconta che già Noè, ogni tanto alzava il gomito, mentre per i profeti, la vigna era l’immaggine d’lsraele. Tutto ciò ispirò sicuramente Cristo che scelse il vino per la comunione. In Grecia erano famose le vigne di Lesbo, Chio e di Tracia, mentre i romani lodando Bacco bevevano il “Falernum” paragonabile all’Agbianico di oggi. Personalmente il vino mi appassiona corne lo testimoniano la mia cantina e la raccolta delle etichette più famose. Mia nonna Arcangela raccontava che il bisnonno Giuseppe, mercante di vino in Cassano Irpino nel 1 860, recitando il Padrenostro dicesse: “Dacci oggi il nostro pane e vino quotidiano” 

I miei primi ricordi sono di quando avevo sette anni, nel 1951, in via Scarpitti ove sono nato, c’era un torchio e ogni anno, in autunno, gli asini facevano la fila per scaricare l’uva proveniente dalle campagne nuscane. La gente del vicinato aiutava a scaricare e a spingere la grossa trave per spremere le vinacce, poi tutti, anche noi bambini bevevamo il mosto dolce e profumato che ci inebriava e ci faceva saltare di gioia.

A casa mia,quando il vino era poco, mio padre spegneva la luce sul deschetto e accendeva quella più forte, al centro della stanza, riempiva i bicchieri, proporzionalmente alI’età, poi con aria solenne raccomandava: -Ragazzi,bisogna prima sentire II pro fumo e pol sorseggiare piano,piano. - Fatta la prima comunione, insieme ad Arcangelo andavamo tutte le mattine a servire la messa a Santa Maria Vetere. Ogni volta che versavamo l’acqua nel calice, don Egidio borbottava, mentre col vino non diceva mai basta. La cosa m’icuriosiva e tra di me pensavo: “Ma se pure il prete lo beve, dev’essere una cosa buona” e di nascosto giocavamo anche noi a celebrare la messa, almeno la parte che riguardava il vino.Col cugino Pietro, spaccammo il barile della nonna per provare il vino che teneva chiuso e nascosto nella bottega “Ngoppacastiellu”.

Quando volevo un po' di soldi, in generale cinquanta lire, andavo a “casa” del nonno da “Frashchitella”  Appena mi vedeva, gridava contento: -Itaniellu, comare Antonietta, è arrivato mb nipote Pietruccio, portateci da bere, serviteci un quartino, io cercavo inutilmente di convincerlo che non ne avevo voglia, ma non c’era niente da fare. -Se vuoi i soldi, prima devi bere II vino- e cosi piano, piano, a contro voglia, mandavo giù la bevanda che faceva cantare e dir la verità al nonno. Nel 1961 emigrai in Svizzera, a Willisau. Le prime paghe non mi perrnettevano un vino di buona qualità, allora per la domenica compravo “Montagne” un anonimo vino fatto con chissà che cosa, ma sicuramente non con l’uva, proprio corne il “Folonari” a Nusco. Man mano lo stipendio aumentava e cosi potei passare allo Barbera, ma sempre in bottigbie da unlitro.

La prima sbornia e sicuramente l’ultima,perchè da quel giorno mi ricordai le parole di mio padre, la presi in occasione del mio diciannovesimo compleanno con gli amici Franco e Dino, un calabrese ed un veronese, a farne la vittima fu un fiasco di Chianti. Al Ioro ritorno dalle vacanze, provai il Cirò ed il Valpolicella. Nel marzo del 1964 lasciai Willisau per Payerne, qui trovai Pietro Brundu, amico d’infanzia e insieme apprezzammo i bianchi svizzeri freschi e frizzantini: “La commune de Payerne, Château de Vinzel, Aigle”. Nel 1967 con mia moglie tornammo a Nusco e facemmo un pellegrinaggio a Campo per salutare e conoscere i tanti parenti e... “l’Asprinu ri Jurundinu” un prodotto esclusivo dello zio Giuseppe Delli Gatti il quale, ogni volta che tornavamo, ci ripeteva: -Dovete scusarmi ma quest’anno II vino non è tanto buono, è un po' aspro, però non fa male perchè è veramente naturale.-

Negli anni ‘80 l’amico Pietro, che nel frattempo aveva lasciato l’emigrazione e tornato a Nusco, forte dell’esperienza elvetica, aveva incominciato a sperimentare il suo “Barbanico” che col Barbera dei Colucci sono sicuramente i migliori vini della zona. In Svizzera i vini italiani non godono di un’ottima reputazione come b sono i francesi. Parlare di vino italiano significa fiaschi,pizza,roba allegra senza pretese. La scarsa protezione della qualità a profitto della quantità ne è la principale causa e purtroppo né DOC né DOCG sono riusciti a migliorare la situazione. Ad ogni discussione con i miei cognati svizzeri,gustando un “Château Lafite Rothschild” un “Château I’Angelus”,animato anche da un pizzico di nazionalismo,accendevo discussioni e confronti che regolarmente perdevo.

Non mi davo pace perô,dovevo assolutamente trovare vini italiani degni di mantenere il confronto con i prestigiosi vini francesi. La mia ricerca mi portô al Piemonte con i van Barbaresco, Barolo e alla Toscana col Brunelbo di Montalcino,Sassicaia. Finalmente quella che era stata una mia intuizione adesso diventava realtà: c’erano vini italiani che non temevano confronti. Continuando la mia esplorazione scoprii che ottimi vini esistono in tutta l’ltalia a cominciare dal Recioto amarone della Valpolicella per continuare col Sangiovese di Romagna,col Torgiano dell’Umbria,col Salice salentino, col Corvo di Salaparuta,col Cannonau di Sardegna e con i nostri Aglianico,Fiano e Greco. Ma il vino buono non appartiene solo a Francia e Italia,molti altri paesi non hanno niente da invidiare a questi ultimi,io mi limiterô a citare quelli che conosco per averli bevuti personalmente e cioè gli spagnoli Vega Sicilia che è un Ribeira del Duero,il Faustino 1 ° che è un Rioja,il portoghese Mateus sia bianco che rosso.

Due cose divertenti mi sono capitate viaggiando:
Nel 1988 in Kenia provai il primo vino al mondo prodotto in una zona equatoriale: “Logonot riserva” un ottimo bianco ottenuto dai vigneti situati nei pressi del lago Naivasha ai piedi del Kilimangiaro. Nel 1990 in Argentina dove i nuscani hanno conservato tutte le tradizioni antiche,ebbi la più bebla riconoscenza all’amore che porto per il vino.  Il cugino Nicola mi fece provare un vino rosso, fatto con le sue mani con uve di Mendoza. Sorseggiandobo ne discutemmo apprezzandone le qualità veramente eccezionali. Un giorno in un ristorante di Mar del Plata,quando il cameriere mise la bottiglia di Borgogna davanti a Mario, l’altro cugino, Nicola si alzò di scatto ed esclamò: -No lasciate stare, lo prova Pietro, lui sa di vino! 

 

NONNO

Mio nonno materno si chiamava Pietro Della Vecchia, ma la gente lo chiamava “Pitinalu” il soprannome che gli avevano affibbiato fin dalla giovane età a causa di un difetto nella pronuncia.
Era un uomo di umore variabile, difficile da sopportare ma amante della giustizia e con un cuore immenso.
Emigrato negli Stati Uniti ove vivevano due sue sorelle, non restò a lungo, preferiva mangiare pane e cipolla nella sua casa di Nusco.
Sapeva leggere e scrivere, roba che a quei tempi, fine ‘800, non era alla portata di tutti. Calzolaio quando ne aveva voglia, a stento riusciva a provvedere ai suoi otto figli, cosi questi non appena potevano, scappavano per il mondo alla ricerca del pane.
Ci piaceva mangiare e bere, soprattutto bere quando ne aveva le possibilità, spesso veniva a casa con una bottiglia di vino, mio padre smetteva di lavorare mentre mia madre preparava patate e peperoni e a volte,quando le cose andavano bene, baccalà fritto e mangiavamo tutti assieme con la luce di mezzo, quella della festa che illuminava tutta la stanza.

 


La bottiglia americana
Negli anni '50 il vino si andava a prenderlo al’osteria, portavi la bottiglia e te la riempivano. Ogni volta che ci andavo, il nonno mi faceva mille raccomandazioni: -Stai attento a questa bottiglia,qui non se ne trovano,metti una mano sul collo e una sotto,vieni diritto a casa e non metterti a giocare con i ragazzi se no rischi di romperla. - Quando tornavo cantava contento:
-Itaniello,ti ho fregato un’altra volta,impari a metterci l’acqua nel vino,tu imbrogli la gente,io imbroglio te. - Io non capivo perchè fosse cosi contento. Un giomo un ragazzo più grande, vedendomi con la bottiglia cominciò a dire che per averla stretta troppo s’era incollata alle mani, dall’osteria fin quasi sotto casa, non la smise un momento, stufo d'essere preso in giro volli dimostrargli che non era vero. Volevo cambiarla da una mano all'altra in rapida successione come tante volte lo avevo fatto con altri oggetti ma la cosa non mi riuscì e la bottiglia cessò di esistere.
Piangendo lo dissi al nonno, fu la fine del mondo, il ‘48, come si diceva da noi, schivai di poco un martello lanciatomi prima di saltare le scale a quattro a quattro.
Mamma mi spiegò che quella bottiglia, il nonno l’aveva portata dagli Stati Uniti e che misurava un buon bicchiere più di un litro.

I fiammiferi
Quando c’era un po di sole, i vecchi si sedevano sulle scale di S.Amato e chiacchieravano. Zi Filucciu proprietario di case e di terreni, per accendere e fumare il suo quotidiano “toscanino” aveva il vizio di chiedere i fiammiferi agli amici. ll nonno non fumava, ma amante di giustizia, non riusciva proprio ad ingoiarlo quel rospo, comprò una scatola di zolfanelli.
Il giorno seguente mentre stavano tutti al sole col cappello bassato per proteggersi dai raggi infuocati, il nonno aspettava il momento fatidico.
In un clima da film western, Zi Filucciu estrasse dal taschino il suo famoso mezzo sigaro, lo mise in bocca al lato sinistro dove gli restavano gli ultimi due denti, fece finta di cercare nelle tasche e ne seguì la seguente scenetta:
-Pasquà hai da accendere? -No,mi dispiace!
-Vincenzo hai un fiammifero? -No,vai a comprarteli!
-Antonio? -
-No! -
Il nonno che aveva seguito attentamente la scena senza perdersi una virgola,al quel punto tirà fuori la sua bella scatola di fiammiferi e con gesto plateale la mostrò a tutti.
-Oh Pietro,adesso fumi anche tu?
-Che no, amico mio-
accese un fiammifero e si godeva la fiamma azzurrognola, l’altro si avvicinò credendo che fosse per lui, ma quando fu proprio vicino, il nonno soffiò, lo spense e lo buttò per terra. La cosa si ripetè diverse volte, sempre con una scusa nuova finchè: -Ma si può sapere Pietro che intenzioni hai?
-Mi dispiace,sono di cattiva qualità,forse sono un po umidi,aspetta ne prendo un altro -Ma tu lo fai apposta? -Si,mi diverto ad accenderli e poi spegnerli
-Pitinalu sei proprio un delinquente -
-Miserabile con tutte le proprietà che hai, compri i sigari e risparmi sui fiammiferi! Vieni accendi! -
-Dovresti bruciare tu come i tuoi fiarnmiferi!-

Fu la scintilla che mise il fuoco aile polveri, i due vennero alle mani cominciando a strattonarsi. “Cocò” il cagnolino del nonno credette opportuno di difendere il suo padrone e si lanciò nei polpacci di Zi Filucciu, poi si mischiarono tutti gli altri vecchietti, chi a favore, chi contro e chi per dividere, non si capiva più niente. Il povero S.Amato che dall’alto del suo piedistallo aveva visto tutto sembrava voler dire: “Vergognatevi, alla vostra età! Ringraziate Dio che non posso muovermi, se no vi farei vedere io, comunque farerno i conti presto, non appena arriverete su da me”


La tempesta
I contadini che non avevano la possibilità di far riparare le scarpe in paese, ne riunivano parecchie paia poi ingaggiavano un calzoiaio a giornata.
L'artigiano si recava a casa loro ove dopo aver effettuato il lavoro mangiava e riceveva un ricompenso in natura: farina, fagioli, un pezzo di lardo e raramente qualche salsiccia.
Era il mese di luglio,faceva molto caldo e di calzolai proprio non se ne trovavano. Un povero uomo, invocando la prole numerosa, l’autunno alle porte e tanti altri guai, convinse nonno Pietro ad accettare una giornata a casa del contadino.
Alzatosi di buon mattino il nonno si incamminò verso la lontana zona dell’Ofanto ove aggiustò scarpe, scarponi, scarpini poi dopo aver mangiato due piatti di “lagane e fagioli” con cotica salata e bevuto una bottiglia di vino fresco, si avviò per rientrare a casa sua.
Lungo una strada scoscesa che conduceva al paese, il nostro viandante lavoratore fu vinto dall’arsura e cercava disperatamente acqua per dissetarsi.
Era allo stremo delle forze quando intravide un gruppo di contadini che chini sul loro grano mietevano. Fiducioso li chiamò, ma invano, questi presi dall’ingrato lavoro, non si degnarono nemmeno di alzare il capo e di rispondere. Nonno Pietro,al quale piaceva anche scherzare, salì su di un muretto, alzò le mani al cielo e con voce solenne s’esclamò:


-Oh Malvaggi! Oh peccatori che avete dimenticato le parole del Signore, il cielo vi punirà, esso si oscurerà e sulla terra si abbatterrà un grande flagello!
Dopo poco, per puro caso, si alzò il vento, il cielo fu oscurato da nuvoloni neri e si
scatenò un forte temporale con pioggia e grandine. Da quel giorno in poi quando il nonno si recava in campagna,la gente diceva: “Passa Pitinalu, dategli da bere e da mangiare, soprattutto da bere, se no viene il temporale!”

 

 

 1961

 

Solo gli asini di Angelo potrebbero dire quanti viaggi abbiamo fatto nelle campagne per raccogliere la legna necessaria per il più bel fuoco di Sandanduonu.
il 17 gennaio s’avvicina e Ngoppacastiellu, Via del Borgo, Porta Molino, sono in effervescenza.

Tra freddo intenso, scivoli, vetri rotti dalle palle di neve, febbraio passa in fretta e arriva marzo con l’aria più mite e più dolce. Al catechismo prepariamo Pasqua:
“Non mangiar carne al venerdì e negli altri giorni proibiti”
-

è il precetto più facile da applicare perchè a casa sono sempre giorni proibiti mentre i vicoli dietro la chiesa profumano di arrosto stuzzicando il naso e pizzicando lo stomaco.
Don Egidio, con voce celeste rimprovera: -Ragazzi silenzio davanti al tabernacolo, camminate più piano in presenza di Cristo nostro Signore. – Però Lui, il Signore, dovrebe sapere che la cosa è impossibile ed è già un miracolo tenersi in piedi sul marmo lucido quando sotto le scarpe ci sono i chiodi. Dopo la Pasqua si parte a benedire le campagne, al ritorno Donna Eugenia conta le poche 10 lire restate nell’acqua santa poi, con espressione inquisitoria attorciglia la bocca tra i suoi neri baffi, ci fissa negli occhi senza parlare. Ma Arcangelo sa quello che anch’io so che vorrebbe dire "Ladri, andrete all’inferno". A maggio i sambuchi fioriscono, farfalle e cetonie saltano di fiore in fiore mentre noi indietro le rincorriamo col filo. Poi fioriscono le acacie. Che annata! I fiori sono bianchi,
belli, dolci e profumati, merli e cardellini si danno alla pazza gioia.

Lentamente i giomi passano, lunghi e a volte un po' noiosi, flnchè un’odore di peperoni fritti annuncia giugno e la novena a S.Antonio.

A sera, dopo le preghiere e i canti, alla chiesetta è guerra:-Ragazzi prendetele e mettetele sotto terra, vedrete si trasformeranno in tante monete d’argento. – e noi ingenuamente:
-Lucciola, lucciola vien da me, ti dar il pan de! re.
... - A luglio Felice accoltellando l’ennesimo "superfiex" osanna:-Per il sollievo di quei ceci mai maturati.-

Alla fiera del Carmine i miei genitori mi comprano un vestito, il primo in vita mia, ricevo anche un paio di scarpe fatte da mio padre, finalmente senza chiodi.
Pensai "Chissà come sarà contento don Egidio"
Prima di partire raccomandai ad un’acacia: -fammi sapere quando devo tornare. Il Signore t’accompagna- fu la sua risposta.

E mentre mio padre piangeva ad Avellino, io scoprivo la Svizzera senza aver mai visto l’Italia Elena Stellato, quante cose ci hai insegnato: "un, deux, trois je vais dans les bois. Quatre, cinq et six cueillir des cerises." Però non ci hai mai spiegato che vuol dire "emigration"

Mi hanno scritto che i ceci maturano, che donna Eugenia è in paradiso, Felice è all'inferno, che don Egidio non dice più messa a S.Maria Vetere, che le lucciole svolazzano per la piazza e per il corso, spavaldamente... dell’acacia nessuna notizia!

 

 

 


 

 

 

 

ANGELO


Da ragazzini, il mio amico e maestro di fantasia era Angelo.

Eravamo troppo appassionati di sport, in special modo di calcio. Leggevamo tutti i giornali del lunedì: "Il Mattino" e il "Roma" da Tonino al bar mentre "Il Tempo" ce lo passava Amato dopo che il dottore lo aveva finito di leggere. Il martedì, se il Napoli vinceva compravamo "Sport Sud" se no lo prendevamo il mercoledì dopo che Pasquale il giornalaio, ne aveva tagliato la fascetta.

Il nostro sogno era di andare una volta a Napoli per vedere Vinicio e Pesaola, però mancava la cosa più importante e cioè i soldi.
Pippinella la mamma di Angelo aveva un forno nel vicolo Seminario dove la gente  portava a cuocere il pane. La domenica il forno non veniva utilizzato, cosi parlando con Angelo ci venne un’idea: il teatro!
Ci adoperammo molto per preparare la cosa, ma vivendo in un paesino isolato dal mondo come il nostro, non fu proprio facile. Un giorno però i nostri sforzi vennero coronati da successo, trovammo un libretto "Sangue romagnolo" cosi potemmo finalmente dare inizio alla nostra vena artistica.
Ci servivano una decina di personaggi, metà li trovammo rapidamente, per gli altri dovemmo organizzare un vero e proprio concorso. Gli aspiranti attori venivano al forno e dovevano provare la parte di un personaggio stanco e assetato il quale entrava in una taverna, si sedeva e con tono forte, chiamava l’oste per farsi portare da bere.

Quando venne il turno di Cenzino, Angelo spense la luce lasciando solo una candela accesa e da dietro le quinte improvvisate con le pale e gli utensili del forno, diede le ultime raccomandazioni, poi il segnale.Cenzino con voce cantilenante e infantile, era l’unico che ancora non aveva messo peli, chiamò l’oste come se chiamasse la mamma: -Oste? Oste della malora? Portami da bere? -

Angelo diventò furibondo, accese la luce lo prese per un orecchio per mandarlo via. Cenzino, che desiderava tanto recitare, implorò:
-No Angelo, non mandarmi via, lasciami provare ancora, ti prometto che farò molto meglio –

-va bene, sarà l’ultima volta però. Tu devi arrabbiarti chiamando l’oste, hai capito? E soprattutto non devi cantare quando parli!-

Replicò Angelo, mentre nei suoi occhi brillava qualcosa di strano. Prima di rispegnere la luce, a noi che facevamo la comparsa come clienti della taverna, fece il segno tipico della mano aperta.

Cenzino si applicò al massimo, ma era veramente negato, appena fini la "litania", gli fummo addosso e a candela spenta, prese tante botte proprio come il maestro comandava.
Il poveretto gridava e piangeva poi cercò di andare via ma Angelo con un pizzico di sadismo e tanta bravura, lo costrinse a restare e a riprovare:
-Sai noi non volevamo picchiarti, solo che il palco, un po' fragile, stava per cadere e per cercare di mantenerlo ti siamo caduti addosso, dai riprova ancora una volta e vedrai che tutto andrà bene e domenica ti faremo recitare sul serio e davanti al pubblico.-

Cenzino ingenuamente si convinse, ma oramai era cosi impaurito che l’ennesima prova fu proprio una pietosa lamentela. Non ebbe il tempo di finire che gli fummo tutti addosso, ognuno con un proprio compito, tiratura di orecchie, pizzichi ecc. Qualcuno però non rispettò i patti e diede sfogo alla sua immensa fantasia mordendo il povero Cenzino ad una gamba.

Studiammo e provammo tanto affinché "Sangue romagnolo" diventò "Sangu ri Vagnuli". Il finale era impressionante: Mario, l’acrobata che passava le giornate arrampicato sugli alberi a caccia di nidi, saltava dalla cima del forno, un paio di metri, sul palcoscenico per salvare Ferruccio diventato ormai "Mengu"

La domenica fu un trionfo, il forno era pieno; almeno 50 ragazzi pagarono 20 lire per il biglietto d’entrata cosi Angelo poté pagare gli attori: 40 lire a Mario per ruolo pericoloso e 20 lire a tutti gli altri.

Continuammo per molto tempo mettendo sempre qualche soldino da parte finché la prima domenica di marzo si presentò la grande occasione: Napoli-Roma allo stadio del Vomero a Napoli. Sognando il confronto Vinicio-Da Costa ci accorgemmo purtroppo che i soldi non erano abbastanza.Con un pizzico di delusione ci fermammo ad Avellino, al Piazza d’Armi ove per il campionato di serie D si giocava Avellino-Akragas.

 

 

 

 

IL CICLISMO


Amato aveva comprato una bicicletta da corsa, ma lo aveva fatto a insaputa dei genitori i quali pur stando bene finanziariamente, temevano che il loro rampollo potesse farsi male o che non studiasse più. Non sapendo dove metterla, me l’aveva consegnata ed io la tenevo nascosta in casa mia, ben pulita ed ingrassata, a sua disposizione quando ne aveva bisogno.

Pure Angelo aveva una bicicletta da corsa, per lui era differente, lui lavorava sodo aiutando i suoi genitori al forno e pascolando gli asini. Spesso partivamo da Nusco, scendevamo fino alla stazione senza forzare a causa dei freni che non erano proprio in buono stato. Una volta finita la discesa davamo sfogo a tutta la nostra frenesia e alla voglia di correre tra sali e scendi e falsopiani. La strada ci apparteneva perché il traffico era quasi inesistente, ci sorpassavamo in continuazione, scatti volate, cambi senza mani, in un baleno eravamo a Bagnoli dove però tornavamo indietro.

A secondo della stagione, ma sempre in territorio nuscano, facevamo raccolta di fave fresche, ceci verdi, mele, uva, prima di cimentarci con S.Martino uno dietro l’altro in una perfetta armonia.

Dalla cava di pietre però fin al paese, il gioco finiva, non era per cattiveria, ma per il bisogno di vedere chi era il più forte, di sognare per un attimo di essere un grande campione.
All’inizio e per un paio di chilometri in falsopiano, Angelo restava indietro. Fisicamente più robusto potevo spingere un rapporto molto più lungo, riuscivo a guadagnare 200-300 metri finché la strada s'inerpica fortemente. Mi applicavo ma fatalmente Angelo con il suo fisico longilineo finiva per raggiungermi e proprio all’entrata del paese a 200 metri dalla fine della nostra impresa mi superava e lo faceva notare spavaldamente. Le sue parole risuonano ancora nelle mie orecchie: -Ma ecco Bahamontes, con uno scatto bruciante..... - E continuava a commentare senza che io potessi più sentirlo perché oramai troppo lontano.

Per vedere il giro della Campania, andammo fino all’Agerola in provincia di Napoli, dove era previsto un traguardo per il gran premio della montagna, era proprio una sua idea fissa!
Il giorno dopo, ancora stanchi dell’avventura napoletana, a scuola c’era la versione di latino, naturalmente non avevamo potuto prepararla: -Non c'è problema, faremo sciopero!- sentenziò il galletto. -Neanche per la firmare la scusa c’è problema, guarda come si fa ad imitare la firma di mamma, quella più facile.-

Non perdeva un’occasione per inventarne una nuova, ne sa qualcosa proprio Amato.
Studiavamo una poesia che diceva: “Un gruppo di gagliardi campagnoli saltellan come in un trescone” -E come si balla il trescone? -Così a batticulo- insegnò il maestro. E in un attimo la ricreazione diventò l’aia dello zio Stefano dove tutti ballavano il trescone-batticulo tranne uno, uno che scappò via piangendo, col nomignolo dietro a fargli compagnia finché I’emigrazione non ci sbaragliò per il mondo!

 

 

 

LA CORSA A PIEDI

 

Per finire in bellezza il giro di Nusco a piedi, c’era una tappa a cronometro che partiva da S.Antonio e arrivava in cima al castello. Correvano una quindicina di ragazzi e il distacco tra il primo e l’ultimo era minimo perché Angelo aveva organizzato abbuoni, traguardi volanti e gran premio della montagna, proprio come al giro d’ltalia.

Il guaio era che non avevamo un cronometro e poi, anche se l’avessimo avuto, come far partire il tempo, i concorrenti e essere all’arrivo nello stesso tempo?
-Un guaio alla volta- dissi al mio compagno organizzatore -per il cronometro si può rimediare, proverò a prendere quello di mio padre, tanto lui non lo mette quasi mai e sta sempre chiuso nel cassetto della camera da letto, basta che non me ne faccia accorgere se no mi amrnazza.-

A lungo studiammo come realizzare partenza e arrivo con un solo cronometro ma non riuscivamo a trovare niente di valido, disperati decidemmo di sostituirla con una normale prova in salita.
Una sera però, mentre con Angelo filosofavamo passeggiando sul castello, ci venne un’idea: i petardi! Fortuna volle che al “Bazar” ne restavano un ventina, gli invenduti del Natale precedente. Li comprammo tutti nonostante il prezzo di fuori stagione che il buon bottegaio ci “sparò”.

II giorno precedente l’avvenimento, facemmo le prove: Michelino si appostò sullo stradone a metà distanza tra la partenza e l’arrivo e da dove poteva vedere quasi tutto il percorso. Accese il primo petardo, Angelo, all’arrivo, fece partire il cronometro mentre io scattai, in un baleno fui alla prima curva, quella di S.Antonio, feci la salita fino all’immondezzaio dove girai a destra, divorai il falsopiano prima d’attaccare la salita micidiale del castello dove arrivai con la lingua di fuori dopo 2 minuti e 11 secondi, un tempo eccezionale secondo l’esperto cronometrista.

Il giorno della corsa, a parte un petardo bagnato, tutto procedeva per il verso giusto, ad ogni colpo partiva un concorrente nell’ordine inverso della classifica: l’ultimo, il penultimo, il terzultimo e poi man mano tutti gli altri. I tempi si aggiravano attorno ai 2 minuti e mezzo. Al momento più importante, la partenza di Gennaro, il primo in classifica, tutti concentrati aspettavano il segnale di Michelino, non si sentiva una mosca vobare. Ci fu un colpo diverso dagli altri, più profondo ma meno esplosivo, meno lungo. Gennaro che io a mala pena trattenevo, scattò come un cavallo imbizzarrito. Non era arrivato neanche alla curva di S.Antonio quando parti lo sparo, quello di Michelino.

Nessuno capì quello ch’era successo ma curiosi di sapere, corremmo per la scorciatoia, quella degli stradoni, fino all’arrivo dove Gennaro concluse la prova con un tempo da record mondiale: 1 minuto e 35 secondi.
Angelo non capiva più niente, imprecava come un dannato sicuro però che qualcosa non andava: -La giuria si ritira per indagini ulteriori- sentenziò.
Impauriti dalla parola “ulteriori”, nessuno protestò e tutti cominciarono ad indagare.
Non ci volle molto prima di scoprire che Cenzino, per vendicarsi delle botte ricevute alla prova del teatro, aveva fatto scoppiare una busta di carta prima che Michelino accendesse il petardo.

 

 

 

L’IPPICA

 

Angelo aveva due asini: Coralonga e Piericurti. I genitori li utilizzavano per trasportare la legna per il forno. Ogni tanto lui li portava Ngoppacastiellu o alla casa popolare a pascolare. Noi aspettavamo quel momento con molta gioia e lo accompagnavamo nella speranza che ce li facesse cavalcare. Quando questo succedeva, la zona diventava il Far West, Coralonga diventava fulmine, Piericurti uragano e noi Pecos Biil, Bleck macigno, Capitan Miki.
Dopo una bella sfuriata, risuscitavamo i "morti" e preparavamo le squadre dopo di che, due alla volta cominciavamo le gare ad eliminazione. Ogni finale era una grande festa:-Dall’ippodromo delle Capannelle Ngoppacastiellu, vi trasmettiamo la grande finale tra Armando su Coralonga e Michelu su Piericurti.- Poveri asini, dopo tanti calci e pugni, ragliando arrivavano al traguardo tra le grida dei ragazzini e l’eccitazione del cronista:
-E vince allo sprint Coralonga montato dal grande campione Armando mentre Piericurti, montato da Michelu taglia il traguardo con dieci lunghezze di distacco.-

Adesso ci penso e mi viene da ridere, dieci Iunghezze di distacco saranno almeno quindici metri, ma allora per Angebo era allo sprint.

 

 

 

LA LOTTA

 


Eravamo più di 30 ragazzi quella sera davanti la casa di Rosa Ngoppacastiellu una ventina erano dei nostri mentre una decina erano venuti da Sandurunatu.

 Angelo era al centro e noi tutti intorno formavamo un cerchio, ad un tratto, con voce solenne proclamò:

-Vi ricordo che è proibito tirare calci o pugni, questa è lotta greco-romana e bisogna rispettare l’avversrio. Colui che resta con le spalle a terra per almeno 10 secondi perde la sfida.-

Due ragazzini aprirono i combattimenti, era l’avanspettacolo. Si avvinchiarono, caddero per terra, rotolarono più di una volta finchè Tonino venne proclamato vincitore. Angelo ritornò al centro del cerchio, subito ci fu un grande silenzio, tutti aspettavano l’annuncio del grande evento:

-Attenzione! Pitrucciu è campione di Ngoppacastiellu, io gli pongo una pagliuzza sulla spalla, se qualcuno è capace di togliergliela, si facesse avanti. –

La solennità venne appena disturbata dai mormorii dei presenti che si affannavano a pronosticare chi mai avrebbe accettato una simile sfida, poi quando Pundillu avanzò ci fu un silenzio di tomba: -Ce la levo io- disse con aria spavalda -io non ho paura di nessuno!-

Se pur molto forte in quel tipo di lotta, cominciavo a dubitare vedendo il primo attaccabrighe del paese avanzare sicuro di se. Assunsi un’aria minacciosa mettendo le mani nei fianchi, come la situazione imponeva.

Pundillu avanzava sempre più, io gonfiavo le spalle sperando impaurirlo e fargli cambiare idea, ma tutto fu inutile. Quando mi fu vicino, senza pensarci due volte, spazzò via la pagliuzza; ci fu un boato, e con la complicità di Angelo, i compagni intonarono:
-Ngoppacastiellu, simu ri fierru. Sandurunatu v’ammu sembu ndrunatu!-
Con Pundillu ci guardavamo negli occhi, non c’era più scampo, la lotta doveva cominciare. Ci studiammo a lungo con mosse e finte varie, poi volò qualche parolaccia, ci afferrammo cercando l’un l’altro di far cadere l’avversario. Tutti davano consigli su questa o quella presa ma inutilmente perché nessuno cadeva. Ad un certo punto Pundillu vacillò, feci appello a tutte le mie forze riuscii a piegarlo e a metterlo con le spalle per terra.

Angelo, al colmo della gioia, come se avesse vinto lui personalmente, cominciò a contare accompagnato dai tifosi: -Uno-due ... otto-nove . . . - Convinto che era oramai fatta, lasciai la presa, ma questo mio eccesso di fiducia mi costò caro perchè Pundillu alla faccia della lealtà sportiva ma soprattutto alla mia affibbiò una tale colpo da farmi vedere tutte le stelle, provai ad asciugarmi il sangue che colava dal naso ma ricevetti un pugno sull’occhio. Ero stordito non vedevo e non sentivo più niente.
Angelo si precipitò e mentre il pubblico fischiava a più non posso proclamò:  -Vince l’incontro Pitrucclu per squalifica dell’avversario che ha combattuto in modo scorretto.-

Ma cosa mai poteva importare a Pundillu e ai suoi amici di Sandurunatu, loro erano scappati via. A me restava l’affetto e l’abbraccio dei compagni, non tanto per il mio sangue versato o per l’occhio nero quanto per l’onore di Ngoppacastiellu salvo

 

 

 

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