SALVO PARISIO PERROTTI
 
Nacque a Benevento il 19 maggio 1881. Marchese, capitano di vascello.
Pittore per puro diletto, amava soggiornare a Nusco.
In data 11 ottobre 1943 fu delegato dall' Allied Gouvernement Military a ricoprire, nella nostra città, le funzioni podestarili. Conservò amichevoli e duraturi rapporti con l'ambiente nuscano, ove trovò ispirazione e risposte alla sua visione artistica. Morì a Napoli il 6 agosto 1963.

Salvo Parisio Perrotti apparteneva a quella ininterrotta catena di gentiluomini napoletani che, dalla fine del Seicento ad oggi, furono ornamento della cultura. Spiriti multiformi si misurarono con maestri in molte discipline: dalle arti plastiche a quelle meccaniche, dalle matematiche alla filosofia. Da un Tiberio Carafa a Raimondo De Sangre, a Gaetano Filangieri, a Salvatore Pignatelli; e, scendendo ai nostri tempi, fino ad Antonio Carafa e Salvo Parisio Perrotti.

Uomo di molteplici interessi, fu ufficiale di marina ed insegnava le matematiche; cultore di scienze naturali, ideava e costruiva orologi; suonava vari strumenti.
In tale varietà di attitudini si rivelò anche elegante acquarellista.
Un puro dilettante, nell'autentica accezione del termine, di chi si esercita in un'arte solo per amore, lungi da ogni voce di consenso o di contrarietà.

Lasciata la marina Salvo Parisio Perrotti ha passato molte lunghe estati con la sua famiglia a Nusco dove ha dato buona parte del suo tempo alla pittura.
Osserviamo questi acquerelli così leggeri, ricchi di trasparenti valori tonali donanti vita a selvosi scorci irpini, ora a una piazza di Napoli o Venezia,
ora a una strada di Glasgow, Londra, Sorrento o ad una marina di Oslo o Malaga.

Con amore del particolare senza pedanteria supera l'espressione agevole del paesaggio giungendo ad una sua interiore scoperta. Che non è frutto, grazie a Dio, di elucubrazione ideologica, ma dello stupore grato della luce nella qualità dell'istante. Come diceva Goethe "Am forgigen Aglanz haben wir das leben", in colorati riflessi possediamo la vita.

Così non sembra azzardato affermare che tali pitture appartengono alla migliore tradizione del tardo Ottocento napoletano, degne di figurare accanto a quelle di un Carelli, di un Dalbono, di un Gigante.
 
 
 Vedi galleria

 

 

 

 

 

Don Renato

  di Filomena Marino

 

La tredicina di S.Antonio con levataccia alle 6,30 per essere puntuali alle 7, era per noi ragazzi "na mazzata nfrontu". Ma dovevamo esserci, perché don Renato ci aspettava per la messa che dovevamo animare. Adolescenti avevamo deciso insieme al maestro Ressa, di cantare, d'improvvisare un coro nella chiesetta di periferia dedicata al Santo col Bambino in braccio.

Era un modo di esorcizzare la morte, il terremoto, il lutto, la devastazione della nostra terra. Ed era altresì un modo perdivertirsi, per fare comunità, per ridere a crepapelle con il mitico don Renato. Uomo di grande cultura, mioprofessore di latino e greco al liceo di Nusco da lui fondato, con una vis comica travolgente. Buono. Geniale. Unico limite: la convinzione che noi alunni fossimo come lui. E dato che ci abituava alla traduzione all' impronta, ci capitava in IV ginnasio un assegno di 15 versioni per il giorno dopo. La geografia, da lui ritenuta una materia secondaria, la studiavamo all' ombra del secolare tiglio posto a guardia della sua chiesa.

E c'industriavamo tutti, maschi e femmine, a pulire bene il mistico luogo per la tradizionale tredicina. Don Renato improvvisava teatro a scuola, calandosi nella parte di Ottaviano o in quella di Renzo dei Promessi Sposi, e teatro in chiesa.

Così il primo miracolo di Gesù, quello della trasformazione dell'acqua in vino, era un atto dovuto per dei seguaci ignoranti e ubriaconi. Così come dovevamo immaginare 12 ubriaconi di Nusco, ad una festa di matrimonio. Se finiva il vino era quasi una tragedia. Ragion per cui Gesù fu costretto, dietro richiesta della Madre, ad operare il miracolo. Così le pie donne del Vangelo diventavano i pii uomini di S.Antonio, con relativo elenco di nome, cognome e soprannome. Con lui anche la Confessione aveva un aspetto ludico.

E se gli dicevo che mi sentivo una grande peccatrice avendo giudicato in cuor mio il tal dei tali, mi rincuorava dicendomi che avevo fatto bene e concludeva più o meno così: "Ma quali peccati? Però vieni a messa, altrimenti l'esame andrà male". Ci permetteva anche abiti succinti durante le prove in chiesa. E se qualche donnina tutta casta e pia, gli faceva notare che non dovevamo presentarci in quel modo, si beccava questa risposta: "Secondo te meglio quando si portavano le gonne alla caviglia? Quando le gambe storte le scopriva il marito, la prima notte di nozze?"

Un sacerdote sui generis, all' avanguardia, che si scandalizzava più se non sapevi tradurre un termine greco, anziché se avevi commesso un peccato. Ogni 13 giugno lo rivedo sull' altare con i paramenti sacri ad intessere il panegirico del Santo di Lisbona, dottore della chiesa, di fronte al quale un santerello di provincia come S. Gerardo, doveva solo impallidire. Lo rivedo agli esami di Stato, a litigare con i membri di commissione esterni, perché anche il meno meritevole dei suoi alunni uscisse da liceo con una votazione non inferiore a 40 su 60. Stamattina il vescovo ha definito la fede come uno spazio vuoto del nostro cuore che dovremmo riempire con la presenza di Dio. Mi chiedo cosa sia la memoria in un luogo sommamente amato da chi non è più. Anche questo uno spazio dell'anima.

 

 

 


Enrico Di Girolamo

Maestro dell'intaglio

 


 
Omaggio di Nicola Cucciniello scritto nel 2005 ....
 
Per l’artista Enrico Di Girolamo l’arte non ha confini, perché la considera un atto d’amore. Per descrivere la figura vi sono due modi: entrare nel suo animo e capirlo nel suo lavoro, oppure osservare i criteri profondi che caratterizzano la sua produzione. Il maestro ha l’età di 76 anni ed è ancora brioso e soprattutto romantico. Racconta con orgoglio la storia della sua vita, in particolar modo quando in qualità di suonatore di trombone da canto e da concerto si esibiva nelle varie manifestazioni di piazza sui gazebo di fortuna. Come ebanista esperto il maestro Di Girolamo è un artista dotato, e allo stesso tempo è una persona semplice, la sua semplicità si manifestava anche nelle sue esecuzioni musicali eseguite nei complessi che certe volte erano fonti di forti emozioni.
 
L’artista aveva bisogno di cospicue masse legnose per realizzare i suoimanufatti che maturavano nel suo pensiero. Tutte le notti sognava, di precipitare da cime tempestose, per raccogliere il legno occorrente, tanto che era inquieto ed impaziente il giorno dopo. Sognava un laboratorio bene attrezzato e bene ordinato. La sua vita più della volte era una continua sofferenza: nella sua mente primeggiava sempre il pensiero di realizzare meravigliose melodie con il suo trombone da canto. Il suo animo era spesso turbato da strani pensieri che però riusciva a dominarli.La sua produzione di ebanista ha avuto un sviluppo meraviglioso, in quanto ha realizzato autentici capolavori in miniatura offerti alla società e alla sua famiglia.
 
Di questi capolavori in miniatura si distinguono il frontespizio della Cattedrale di Nusco, la Chiesa di Fontigliano, il Colosseo e tante altre piccole opere ad intarsio; quadri, scrivanie, ed antichi e moderni mezzi di trasporto in miniatura, anche una catena formata di 16 anelli ricavati da uun pezzo di legno bianco. Nella sua abitazione tutta la suppellettile è ad intarsio, compreso il portone d’ingresso ed una porta interna con vetrata.
 
Tutto il complesso abitativo di Enrico Di Girolamo per la varietà delle opere che contiene sembra un vero museo.
 
 
 Frontespizio della cattedrale
 
Bisogna dire che il maestro Di Girolamo Enrico, è una persona di fine intelligenza altruista e generosa: circa la destinazione delle sue opere: tra cui ve ne sono molte di rilevante pregio, e gusto, si espresse senza indugio e 
 
senza esitazione, col dire che: “le avrebbe donate al Comune di Nusco, qualora avessero allestito un locale idoneo per museo”. Questo è il maestro Enrico Di Girolamo, fermo riservato ed aperto moderato, umile e comprensivo, guarda con lungimiranza alle tradizioni culturali del suo paese, invitando l’Amministrazione Comunale a realizzare quella promessa fattagli di un piccolo museo

 

 


 Ciriaco De Mita

 

Ciriaco De Mita

 

Luigi Ciriaco de Mita (Nusco, 2 febbraio 1928) è un politico italiano, esponente della Democrazia Cristiana, quindi del Partito Popolare Italiano e della Margherita e dal 2008 dell'Unione di Centro. Ha inizialmente aderito al progetto del Partito Democratico, abbandonandolo però dopo poco per aderire al progetto della Costituente di Centro. È stato tra i maggiori esponenti della politica democristiana. Dopo aver vinto una borsa di studio nel Collegio Augustinianum, si iscrisse all'Università Cattolica di Milano dove si laureò in giurisprudenza. Nel 1963 venne eletto deputato per la prima volta. Fu tra i fondatori della corrente di "sinistra" della DC, chiamata "sinistra di base", insieme ad Attilio Fierro, segretario provinciale della DC in quegli anni, sostituendosi a Fiorentino Sullo come capocorrente irpino. Fu vicesegretario della DC durante la segreteria di Arnaldo Forlani, ma si dimise da tale carica nel febbraio del 1973 dopo il patto di palazzo Giustinani. Ricoprì poi diverse cariche ministeriali tra il 1973 e il 1982. Fu eletto segretario nazionale della DC nel maggio 1982. Il suo partito subì un grave calo nelle elezioni politiche del 1983; nonostante ciò, De Mita restò in carica, venendo ripetutamente confermato fino al congresso del 1989. Il 13 aprile 1988 divenne Presidente del Consiglio, ma la sua nomina fu funestata dall'assassinio, avvenuto a Forlì tre giorni dopo e compiuto dalle Brigate Rosse, di Roberto Ruffilli che, senatore della Democrazia Cristiana  e consulente di De Mita per le riforme istituzionali, aveva contribuito a varare proprio il governo che stava allora entrando in carica. Le Brigate Rosse definirono Ruffilli, nel volantino di rivendicazione "l'uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano". Il Governo De Mita, un pentapartito, rimase in carica fino al 22 luglio 1989. Nel 1989 De Mita fu sostituito alla segreteria della DC da Forlani, assumendo la presidenza del partito, carica mantenuta fino al 1992, eccezion fatta per un breve periodo nel 1990.Nominato il 9 settembre 1992 presidente della commissione bicamerale per le riforme istituzionali, disciplinata con legge costituzionale (n.1, 6 agosto 1993), si dimise nel marzo del 1993 e gli subentrò Nilde Iotti.La ricostruzione dell'Irpinia, dopo il tragico terremoto del 1980, fu caratterizzata da una eccezionale mobilitazione, anche finanziaria (60000 miliardi di lire). La destinazione dei fondi stanziati per la ricostruzione è stata oggetto di innumerevoli inchieste; essendo l'Irpinia la terra di origine di De Mita, in cui egli ha sempre goduto di grande influenza, il nome del politico democristiano ricorse spesso in queste inchieste. Nel 1987 i giornali rivelarono che la Banca popolare dell'Irpinia aveva visto aumentare considerevolmente di valore grazie al flusso di fondi per la ricostruzione. Tra i soci che beneficiavano della situazione c'era la famiglia di De Mita, con Ciriaco proprietario di un cospicuo pacchetto di azioni, altri titoli erano posseduti anche da parenti. Il 3 dicembre 1988 il quotidiano del Partito Comunista Italiano, l'Unità, allora diretto da Massimo D'Alema, pubblicò un articolo in prima pagina dal titolo: «De Mita si è arricchito con il terremoto». De Mita rispose con una querela che, però, non ebbe seguito in quanto venne accettata la spiegazione di D'Alema che sostenne la mancanza del punto di domanda finale alla frase, dovuto ad un errore tipografico. Recentemente, Massimo D'Alema si è scusato direttamente con De Mita ammettendo che i suoi sospetti erano sbagliati.

 

PCI59

Nota personale (Pietro Russo)

Mio padre Giuseppe Russo, nato comunista, non aveva mai vinto in una consultazione elettorale perché in quell'epoca, anni 45-60 la Democrazia cristiana, col supporto ecclesiastico, la faceva da padrona.

Quando il giovane De Mita si presentò come sindaco di Nusco mio padre disse:
-Giriachino è un bravo ragazzo, lo voterò e finalmente vincerò un'elezione, anche se devo otturarmi il naso per la DC-

Ebbene no! Ciriaco De Mita venne sconfitto dalla lista civica "La spiga di grano".
Mio padre morì senza aver mai vinto in una consultazione elettorale.

 

 

 

 

 

 

Filomena Marino

Breve bibliografia

Anno di nascita: 22 aprile 1964
Docente di lettere ·
Università degli Studi di Salerno
Anno di laurea/diploma 1994 · Lettere moderne · Salerno. Liceo Classico Pietro Colletta

 

Caro Pietro, riflettendo sulle tue meravigliose pagine di letteratura volgare, mi sovvengono quattro grandi scrittori: Balzac, Tolstoj, Pavese e Pasolini. I primi due hanno espresso lo stesso concetto, cambiando solo un termine. "Vuoi essere uno scrittore di valore universale? Racconta il tuo villaggio".

Esortava il grande scrittore francese. "Vuoi essere universale, parla del tuo paese" Sosteneva Tolstoj. Cesare Pavese, a proposito del paese, scriveva ne "La luna e i falò": "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti". Pier Paolo Pasolini, invece, "si accostava a qualsiasi dialetto, come ci si accosta a una lingua straniera, con il rispetto che si riserva a una cultura da difendere e salvare dall'aggressione di una barbarie massificata".

Ebbene, tu hai cantato il tuo villaggio/paese, sai che nella tua terra c'è qualcosa di tuo che resta ad aspettarti; e poi varchi con i paramenti sacri il santuario della nostra lingua madre. Hai l'attutudine dei quattro grandi menzionati. Come Pasolini la tua posizione nei confronti del dialetto è affettiva, legata ai ricordi dell'infanzia, ma anche politica (il figlio del comunista espulso dalla chiesa e dall'oratorio dove c'erano anche i giochi) e sociale, perché lo stesso modo colorito di parlare trasmette allegria, suscita il riso, affratella, crea comunità. Ineguagliabile è poi la carica espressiva del dialetto che gioca sempre le carte dell' incisività, della sintesi e dell'humour che dissimula un concetto di Euripide: "Non c'è dolore più grande della perdita della terra natia".

Così i personaggi dei tuoi racconti non sono quasi mai costruiti a freddo, ma irrompono con tutto il loro carico di umanità, di dolore, di umiliazioni, di voglia di vivere. Fedele ai moduli espressivi dialettali di una poetica realistica, fresca e ricca d'inventiva, in ogni circostanza, inneggi alla vita aggiungendovi quella sottile ironia intellettuale e quella intensa partecipazione umana che costituiscono la nota dominante della tua personalità di uomo e di scrittore.

 

 

LAUCELLA NICHOLAS “PRIMO FLAUTO” NELL’ORCHESTRA METROPOLITAN OPERA DI NEW YORK (1920)

 
Nicola Laucella era nato a Nusco il 1 luglio del 1882. A soli 13 anni emigrò negli Stati Uniti portando con sè la passione per il flauto che aveva imparato a suonare prima da pastore e poi nella Filarmonica del nostro paese. Già nel 1904 divenne “flauto solista” nell’orchestra di Pittsburg. Nel 1909 , “flauto principale” nella Filarmonica di New York dove rimase fino al 1919. Nel 1920 divenne “p

rimo flauto” nell’orchestra Metropolitan Opera di New York dove vi rimase per fino al 1937. Al suo attivo numerose opere e registrazioni. Morì nel 1952.

 

 

Ecco come Titti Prudente racconta in una scheda la vita del musicista nuscano. “Fra i personaggi nuscanienticati è da annoverare Nicola Laucella.. Musicista e compositore di fama, visse a Nusco per poi emigrare in America dove realizzò i suoi sogni legati alla musica. Era nato in contrada Cerri di Sant’Amato il 1 luglio del 1882 in una famiglia contadina che doveva sudare non poco per ricavare dalla terra quanto serviva per vivere. Abitavano una casa povera e Nicola doveva portava al pascolo poche pecore lungo i torrenti Vella o Acqua Bianca. Come usano fare tutti i ragazzi, anche lui per ingannare le lunghe ore dedicate a badare alle pecore. Si era costruito un flauto con un ramo d castagno e passava ore intere a suonare. Fin da ragazzino entrò a far parte della filarmonica del paese (Città di Nusco) organizzata da Carlo Astrominica e diretta da un maestro napoletano Giuseppe Gaudiosi. In poco tempo, il giovanissimo Nicola divenne il più bravo della Filarmonica cittadina. In occasione dell’Ottavo Centenario di Sant’Amato (1893) – fondatore e protettore di Nusco – egli si esibì con grande successo. Il piccolo musicista conseguì negli anni una professionalità di valore, tanto che il maestro Mascagni lo volle con lui in una lunga tournée in Italia e all’estero. Ma quando uno zio, partito per l’America qualche anno prima, lo chiamò, il musicista voltò le spalle al suo paesello, per tentare la fortuna altrove. E l’America fu per Laucella un paese molto fortunato. Divenne, infatti, primo flauto dell’Orchestra del Metropolitan di New York e in seguito fu anche invitato a far parte della grandiosa orchestra di Pietroburgo. In America fu anche tra gli organizzatori della Società Sant’Amato. Il maestro restò sempre legato al suo paese natio. Dal 1911 in poi, la sua vita trascorreva fra l’America e Nusco, dove veniva accolto sempre in modo trionfale dal sindaco Ciciretti, al quale non faceva mai mancare il suo contributo per le varie opere che il Comune intendeva realizzare. Così nel 1926 al suo rientro estivo in paese sottoscrisse il contratto di affidamento per la recinzione della “villa del popolo”, ricavata dalla sistemazione di una vecchia cava di pietre. Nell’agosto del 1931 riscosse un grandioso successo, durante delle feste locali, eseguendo in piazza alcune opere di sua composizione. Quella di Nicola Laucella è la semplice storia di pastorello, emigrato e divenuto famoso per aver affermato il proprio talento, “una vita che non dovrebbe essere mai dimenticata dalla comunità di oggi”. 

 

Generoso Bicchetti (Gegé)

 

Nacque a Boston (U.S.A.) il 13 giugno 1923.Pittore e scultore autodidatta. Alternò la sua creatività tra gli U.S.A. e l' Europa.

Eseguì il plastico in creta di Papa Pio X,  venduto alla Statuary Company-Pennsylvania. Creò il modello del leggendario eroe americano David Crockett.

Negli anni 1962-63 espose alle mostre di via Margutta e del Brunellesco. Nusco, la sua terra d'origine e di dimora, gli valse una vasta ed invidiabile attività pittorica.
Morì a Bisaccia il 4 dicembre 1989.

I contrasti chiaroscurali che si ammirano nei quadri del Bicchetti, le velature, le trasparenze dell'azzurro attraverso il velo delle nubi, i colori tenui, tutti "rotti e degradati", tipici del pastello inglese, sono diafani, eterei, frammisti e formano un tutt'uno nel dipinto.
I pastelli di Bicchetti non sono una limitazione al paesaggio, soleggiato o pieno di neve, ma esorbitano da questa specie di fissismo fotografico per animarsi nelle casette e nei vicoli con gente semplice che si muove e lavora.


Il silenzio e l'abbandono sembrano scoraggiare, o annullare la carica emotiva e poetica: da ciò l'animazione-bisogno del pittore di dividere con gli altri discorsi e sensazioni. Tocchi sottili, cieli sereni, volti affannosi ma purificati in una nitidezza di immagini danno respiro a questa armonia compositiva: immediatezza di movimenti e di eleganza.

 

 

 

 

Che questi emergano ad opere d'arte, ne è riprova il giudizio della critica: "Artista poliedrico, alterna con pari fortuna l'olio al pastello al lapis: tecniche differenti ma espressioni unanimi di gusto, di plasticità e di composizione armonica".Uno dei suoi più famosi quadri "Via de

l borgo"  fu commissionato da Pietro Russo.

 

 

L'opera fu pagata, nel 1983, lire 800.000. Il retro del quadro contiene l'autentificazione dell'artista riportata qui sotto.

 

Ecco la trascrizione  del retro quadro:

Generoso Bicchetti, artista, autore del dipinto raffigurato nel retro di questa scrittura, ne dichiaro l’autenticità e m’impegno a non effettuare “copie” “riproduzioni” o “bis”. Dichiaro, inoltre, che non è stato eseguito il fissaggio, poichè i pastelli di marca tedesca da me usati non lo richiedono.

In fede: Generoso Bicchetti.  (segue firma) Riproduzione della firma apposta in calce a destra. Nusco 3 agosto 1983

A Pietro Russo con stima
sono    (segue firma) Generoso Bicchetti

 

 

 

 

 

 

  Calitri

 

 

 

 

 


Felice Masullo

Felice Masullo  (Nusco il 23 dicembre 1943   +21.05.2014)
Félisi - come amichevolmente è chiamato a Nusco - è autodidatta e, da anni, ha scoperto il gusto della pittura. Come fosse un gioco e che, invece, si è rivelato impegno costante mosso e motivato dalla sensibilità d'animo che traspare da ogni pennellata. Ha partecipato a numerosi concorsi, riscuotendo positivi consensi critici e diversi premi.
Il suo campo preferito è la pittura "naif", ma - a giudicare dai lavori - ottimi sono i risultati conseguiti nella "paesaggistica" e soprattutto negli scorci di Nusco, così amati dai nuscani.

 

 

Se poi si aggiunge che al centro della sua pittura sono essenzialmente tre temi, le figure, i paesaggi, gli scorsi, è facile capire come chi oggi, ed è il mio caso, ne affronta la lettura possa concentrare la propria attenzione su questi tre temi e su come essi vengano rappresentati da Masullo.

 

Il fatto è che Masullo vuol dire spontaneità, ma anche rigore ed impegno nella ricerca e nella individuazione delle soluzioni e che tutto ciò che egli dipinge deve essere riportato e riferito al suo essere autodidatta.

Da qui l'opportunità, penso, di premettere alla lettura (che potrà essere fatta e sviluppata anche successivamente a questa prima nota) poche considerazioni generali che, forse, possono aiutare, per un verso, una lettura dei quadri più interna allo spirito,

all'atteggiamento verso la vita e verso la società, ai suoi miti e alle loro aspirazioni e, per altro verso, a cogliere meglio l'apporto ad una più approfondita comprensione dell'itinerario pittorico percorso in questi anni.

 

 

L'esperienza di Masullo, pur se ancora circoscritta e tutta vissuta nel "privato", s'impone per la sua semplicità e la compostezza dell'espressione ed è degna di un'attenzione più vasta anche perchè ai nostri giorni, non sempre è facile rendersi conto di quanto certe "riproposte", "rivisitazioni" e, addirittura, "riscoperte" di singoli autori, movimenti, scuole muovano da reali esigenze di una loro migliore conoscenza e comprensione, siano cioè conseguenza di genuini interessi e frutto di approfondimenti culturali, o non rispondano piuttosto a mode contingenti, ad interessi dell'industria culturale, editoriali o del mercato artistico.

All'origine dell'esperienza pittorica di Felice Masullo si può intravedere l'impetuosa crisi di modernizzazione e l'incipiente massificazione che la società e la civiltà tradizionali stanno vivendo. A questa crisi, a questa trasformazione senza "valori", Masullo non ha reagito arroccandosi in difesa della società e della civiltà tradizionali, ma ha cercato solo di dipingerla e quindi di salvaguardarla senza contrapporla. Esse non sono scese in campo l'una contro l'altra, ma ognuno percorre la propria strada nel convincimento, almeno per Masullo, che sia la seconda a prevalere sulla prima.
"L'amore del nuovo", la necessità di realizzarlo con tutti i mezzi, in tutti i campi, senza tentennamenti, che erano alcuni elementi caratterizzanti le avanguardie storiche del primo e secondo novecento, sono completamente estranei alla cultura, prima, e alla pittura, poi, di Masullo.
Non sembra eccessivo, nel concludere questa prima e breve nota, sottolineare come la pittura di Felice Masullo parli contemporaneamente "esplicitamente" e "simbolicamente". Le due letture, della vita e della storia, convivono con rarissima sensibilità.

 

 

 

RICORDO DI FELICE MASULLO, L’OPERAIO-PITTORE (Gianni Marino maggio 2015)

 

Un anno fa, alla vigilia del voto amministrativo, se ne andava un nuscano verace. Felice Masullo (da tutti chiamato “Felisi”). Era nato qualche mese dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, esattamente il 23 dicembre e i genitori gli avevano messo il nome Felice per ricordare Felice Masullo fu Rosario, morto prigioniero in un ospedale militare di Trieste quando ormai la prima guerra mondiale era finita (novembre 1918).

Conseguita la licenza media, fu avviato come apprendista elettricista sotto la guida di Armando Todino e Aldo Intoccia. Come tanti altri giovani, emigrò per un breve periodo in Svizzera in cerca di lavoro e dopo aver lavorato per una Ditta di Reggio Calabria, nel 1967 entrò nell’ENEL per andare in pensione nel 2000.
 

Ricordo ancora, primi anni settanta, quando andai a trovarlo ad Albano Laziale dove viveva con la moglie Antonietta Biancaniello e il figlio Rosario. Erano gli anni in cui si faceva onore come caposquadra nell’ENEL, ma non ancora era esplosa la sua passione per la pittura. Poco prima del terremoto del 1980, incoraggiato dall’amicizia con il prof. Peppino Giordano che viveva allora a Battipaglia, si accorse che la sua mano lasciava sulla tela un originale, fantasioso e luminoso tratto naif. Sotto la guida dell’artista nuscano Luigi Prudente, i suoi primi passi si fecero più sicuri e, pur restando per sempre un semplice autodidatta, nei suoi lavori, lentamente, incominciava a condensarsi il grande amore che Felisi aveva per Nusco, amore viscerale trasfigurato in luce e colori, alla ricerca di un “realismo magico” davvero sorprendente nei risultati. Nel corso degli anni, partecipò a numerose estemporanee, strinse amicizia con numerosi artisti irpini ( Ingino Domenico, Puopolo Giuseppe, Pelosi Giuseppe, De Stefano Vinicio, Bavaro Giuseppe, Caruso Domenico, Grilletto Francesco. Storti Felice) e ricevette riconoscimenti e premi.
 

Purtroppo, gli ultimi anni di vita di Felisi sono stati “dolorosamente vissuti nella fede e rassegnazione cristiana” per via di una malattia che gli tolse, in modo progressivo ma irreversibile, la vista. I suoi occhi si erano lentamente spenti. Ricordo con commozione - e come me tanti altri suoi amici che si facevano in quattro per aiutarlo - l’inizio di quella drammatica via crucis. Ci sentivamo spesso a telefono e restavamo ore a parlare di storia locale nuscana. Felisi era un “innamorato pazzo” della storia e della festa Sant’Amato. Mi suggeriva ipotesi di ricerca, di spronava ad andare in qualche biblioteca perché secondo lui avrei potuto trovare tracce e prove importanti. La sua passione e curiosità intellettuale erano senza confini. Voleva sapere tutto e discutere di tutto. Anche il più piccolo indizio storico era per lui motivo di lunghi ed appassionati dialoghi. Lo ricordo con affetto: sempre presente in ogni occasione culturale, attento in ogni dibattito o convegno. Felisi ascoltava con il cuore di chi ama davvero "il proprio piccolo paese, senza convenienze o interessi personali".I suoi occhi ritornavano a vedere la “bellezza” che come vero artista amava donare a tutti noi. E nelle sue opere vive per sempre.
 
 

 

 

 

 

Passaro Giuseppe 1902-1981

 

 
Passaro Giuseppe

Figlio di Angelo Raffaele e di Rosolina Russo.

Fu parroco, dal 1925 al 1939 della Chiesa di S. Giovanni Evangelista di Nusco e successivamente canonico della Cattedrale dell'omonima Diocesi.

Docente preparato e sempre pieno di entusiasmo per l'attività scolastica nel Seminario di Nusco, fu fondatore e preside della Scuola Media "F: Della Saponara" e, in ultimo, nelle Scuole Statali di Avellino.

il Prof. Passaro ha onorato la Scuola con la sua straordinaria cultura e la sua profonda umanità. Cittadino sempre attento ai fenomeni civili e sociali, anche alla "società" che l'ha circondato.

Numerose le sue ricerche e relative pubblicazioni su vescovi e Chiese locali, su Feudatari e Popolazioni soggette, su Storiografi e loro Opere, su Itinerari storici e Regnanti, su Abbazie e Personaggi di rilievo, e su battaglie celebri dell'antichità


 



Giuseppe Casciaro

Nacque ad Ortelle (Lecce) il 9 marzo 1861. Ebbe come primo maestro di disegno Paolo Emilio Stasi, quindi frequentò l'Istituto di Belle Arti di Napoli, allievo di Palizzi e Morelli. Più volte a Nusco, ospite di alcune famiglie, vi realizzò circa duecento opere, che gli esperti annoverano tra la sua produzione migliore. Come segno tangibile di affetto e riconoscenza, fu insignito della cittadinanza onoraria nuscana, con delibera consiliare del 31 dicembre 1910. Morì a Napoli il 25 ottobre 1941.

 

A cogliere la natura, i colori e le sfumature del paesaggio nuscano, in ogni stagione, fu la sensibilità di Giuseppe Casciaro.Artista di chiara fama, maestro di pittura della regina Elena, ebbe a Nusco forti tensioni emotive e di ispirazione, tant'è che si legge: "  

 

Voglio mostrarvi, se non vi annoiate, i pastelli di Nusco, mio paese di adozione, che ha dato all'anima mia ebbrezze di visioni singolari, e di cui sono cittadino onorario. E' tutta una stagione di lavoro che va dal tempo in cui biondeggia il grano alla dolce e penetrativa malinconia dell'autunno....."