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Lancellotti

Ariano

Lauro

Gesualdo

Torella

Bagnoli






































Lancellotti

Ariano

Lauro

Gesualdo

Torella

Bagnoli

 

 

 

 


 









































































Lancellotti

Ariano

Lauro

Gesualdo

Torella

Bagnoli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
























 

 
Lauro,  il Castello Lancellotti.

L'Irpinia ospita nella sua cornice naturale di grande suggestione antiche fortezze longobarde e normanne, trasformate in palazzi eleganti e maestosi da principi e feudatari dal Rinascimento al secolo scorso: sono visibili tracce di guerre e saccheggi, assedi e battaglie ed al tempo stesso aleggia la memoria di corti eleganti, feste mondane, passaggi di artisti e poeti. Diroccati o intatti, abbandonati o in fase di restauro, i solenni monumenti dell’ancien règime rivivono oggi in progetti ambiziosi e sfilate in costume d’epoca, risorsa turistica e sociale della terra che li accoglie.

Il tour dei castelli irpini inizia inevitabilmente dal Castello di Avellino, un castello atipico in quanto a posizione, perché situato in una valle piuttosto che su un’altura. Nonostante la sua collocazione inconsueta il Castello di Avellino è riuscito a sopravvivere miracolosamente, per oltre settecento anni sfidando guerre e saccheggi, ha attraversato indenne i periodi dei Longobardi, dei Normanni, degli Angioini e degli Aragonesi, dalla fine del IX secolo all’inizio del XVIII secolo. E’ stato trasformato in Palazzo Reale dal principe Camillo Caracciolo e dalla celebre Maria De Cadorna che vi strutturò intorno un magnifico parco con tanto di lago artificiale e riserva di caccia, che lo fece annoverare, con diritto, fra le meraviglie del Regno di Napoli.
Misteriosa quanto la sua origine è stata la sua dissoluzione quasi totale nel giro di pochi decenni. Le sue macerie sono state ristrutturate dopo 270 anni, precisamente dopo il sisma del 1980.

A Lauro, si erge maestoso sul centro urbano il Castello Lancellotti.

A pochi chilometri meritano una sosta i ruderi del Castello di Avella, uno dei più estesi dell’Italia meridionale.
Il binomio fra storia e turismo si ripete con esiti felici anche a San Martino Valle Caudina, dove troviamo il Castello della Leonessa residenza dei principi Pignatelli.
Alle pendici del monte Partenio, il Castello di Mercogliano domina il paese omonimo e si affaccia sul borgo sottostante chiamato appunto Capocastello.

Il Castello di Montefusco si adagia su di un colle isolato tra la Valle del Sabato e la pianura di San Giorgio del Sannio.  Il Castello dei Filangieri a Lapio è una costruzione a due piani che spicca fra le antiche case gentilizie del centro della cittadina. Nel segno dei Caracciolo il Castello di Sant'Angelo dei Lombardi, Ci attende poi il Castello di Bisaccia che deve la sua fama ad ospiti illustri, come Torquato Tasso.
A pochi chilometri troviamo il Castello di Lacedonia, mentre il Castello di Monteverde sovrasta l’estesa vallata del fiume Ofanto.
Il Castello di Gesualdo fu trasformato in elegante residenza baronale dal principe Carlo Gesualdo, uno dei più famosi madrigalisti europei, verso la fine del cinquecento.
A Torella dei Lombardi troviamo il Castello Candriano, posto al centro dell’attuale abitato, è stato quasi completamente distrutto da sisma del 23 novembre 1980, ma con un intervento di recupero è stato presto restaurato. Nel caratteristico agglomerato antico di Morra de Sanctis, sorge il Castello dei principi Biondi Morra che presenta un interessante salone delle armi, cui si accede dal cortile interno attraverso un artistico portale del Seicento.

 

 

 

 

Ariano Irpino

Le prime notizie sull'esistenza di questo castello risalgono ad un documento del Consiglio di Castiglia al tempo di Filippo IV ,re di Spagna e di Napoli. In detto documento si legge che la città di Ariano era dotata di una piazza d'armi e di un antico castello di non facile espugnazione, munito di torri d'avvistamento , fossati a secco, mura e fortini. Ancora oggi è facile comprendere la posizione strategica che il castello occupava , circondato da barriere naturali, scoscendimenti e dirupi e dominante le valli dell'Ufita, del Miscano e del Cervaro.

L'impianto planimetrico del castrum è trapezoidale con quattro torri troncoconiche angolari,comunicanti tra loro a mezzo di corridoi che si aprono lungo le mura perimetrali. In sommità sono i ruderi dell'antico mastio da cui, secondo la tradizione, si scorgeva, attraverso la gola di Monteleone, il Golfo di Manfredonia.

Le torri sono composte di due vani, uno superiore e l'altro inferiore, che prendono luce ed aria da bocchetoni cilindrici o talvolta biconici. Inoltre, sono ancora visibili le caditoie, intercalate dagli orecchioni, usati per le comunicazioni rapide tra le milizie operanti lungo le merlature e le postazioni nei piani sottostanti.

Metà della fortezza, oggi, è interrata e, chi visita la torre Est, accessibile dal piano inferiore a mezzo di due rampe di scale, si accorge di trovarsi al di sotto del livello stradale. Nel vano interrato si aprono tre ambienti con postazioni a semiluna, con feritoie per colubrine medie e passavolanti. Sul lato sud sono le due torri, Madonna degli Angioli e S. Eliziario,tra le quali si apriva, nella prima cinta, un primo ingresso con fossato e ponte levatoio, e nella seconda, la porta principale con un secondo fossato ed altro ponte levatoio.

Nel 1992 è stata condotta una campagna di ricerche archeologiche nella zona settentrionale del castello, in prossimità della torre nord-occidentale. Dette indagini hanno permeso di chiarire la natura di tre strutture murarie rinvenute nell'area della torre. Quella più a sud rispetto alla cinta muraria settentrionale angioina-aragonese corrisponde alla recinzione della prima fase insediativa del castrum arianese; la seconda struttura muraria rappresenta la recinzione settentrionale normanno-sveva con torre quadrangolare; infine, la recinzione e la torre quadrangolare di nord -ovest sono state riprese e potenziate nel periodo angioino-aragonese.

Attualmente lo stato di conservazione della fabbrica è precario, ma sono in corso lavori di restauro conservativo. Tutt'intorno all'area del castello si estende la villa comunale, magnifico parco e meta di villeggianti , con una superficie interamente coperta dall'ombra di secolari alberi. Qui, dopo aver attraversato il viale degli elci, sulla destra , incorniciato da pini marittimi, si scorge il monumento a Pietro Paolo Parzanese, opera dello scultore A.Balzico.

 

 

 

 

Lauro


 

Seconda metà del decimo secolo -- Il castello feudale è architettonicamente molto interessante; è recintato da un muro merlato in pietra con diversi accessi intermedi che fungono da passaggio.

All'interno della recensione, vi sono delle torri quadrangolari, tipiche di quelle gotiche settentrionali medievali, che sono di diversa altezza; due sono incoronati da merlature e da archetti pensili, mentre l'altra si presenta con una copertura a spiovente caratterizzata dalla comparsa di diversi pinnacoli angolari. Su buona parte della facciata dell'edificio, vi sono delle luci di tiro insieme ad alcuni loggiati con rosoni aragonesi come quello che separa la Torre di S. Giorgio dalla Torre di mezzo al Castelnuovo di Napoli.
Durante il Settecento, il castello fu in parte restaurato dalla famiglia Lancellotti, con l'inserimento di un bel portale rinascimentale a bugna che richiama quello di Porta Nolana a Napoli. Il portale termina con il motivo dello stemma di famiglia; sopra di esso si trova una incisione (due pastori con il cane che passeggiano sotto il sole), tutto questo incorniciato da colonne lisce chiuse da un motivo arcuato. Nel 1799, un incendio provocato dalle truppe francesi danneggiò, in parte, l'esterno del castello.

 

 

 

Gesualdo

E’ difficile collocare nel tempo con esattezza la costruzione del castello di Gesualdo, e l’argomento è sempre stato oggetto di discussione tra gli studiosi. Il biografo locale Giacomo Catone, nelle sue “Memorie gesualdine”, afferma che bisogna farlo risalire al 650, in epoca longobarda, mentre un’altra tesi fissa la costruzione all’849, con la “divisio ducatus” tra Adelchi e Siconolfo, come difesa di alcuni territori annessi al principato di Benevento. In effetti, strategicamente ben posizionato, faceva parte, probabilmente, di un unico sistema di difesa per tutta la zona, poiché, verso gli appennini Dauni, troviamo tanti altri castelli o fortezze, come Torella dei Lombardi, Rocca San Felice, Guardia dei L., S. Angelo dei L., Bisaccia.
Comunque sia, nulla resta dell’originaria costruzione longobarda, mentre spiccano, invece, ora, caratteristiche decisamente normanne. I castelli normanni, infatti, a differenza di quelli longobardi, che erano caratterizzati da ampi terrazzamenti aperti, presentavano, invece, ampi cortili interni sui quali si aprivano scuderie, cantine, granai, locali destinati alla manutenzione di carrozze ed alle abitazioni della servitù, su cui vi erano i piani nobili destinati a residenza.
Anche il castello di Gesualdo non si sottrae a questa caratteristica di massima e si presenta di forma piuttosto regolare, a pianta rettangolare, con un cortile interno ed un pozzo al centro; torri cilindriche scarpate agli angoli, collegate tra loro da cortine murarie anch’esse scarpate; all’esterno, il fossato ed il +ponte levatoio.
Il suo primo feudatario normanno fu Guglielmo d’Altavilla, nel 1078, detto il Bastardo, che ottenne la signoria di Gesualdo e a cui successe il figlio Elia I.


Poi, dal 1198, la dominazione divenne sveva con Federico II e terminò nel 1266 con la morte di Manfredi, che significò il ritorno a Gesualdo di Elia II, grazie a Carlo I d’Angiò.
In questo periodo il paese, oltre al castello, era difeso da un complicato sistema di torri e rivellini, che controllavano tutto il territorio.
Il dominio della famiglia Gesualdo, comunque, fu piuttosto duraturo e proseguì nei secoli successivi, tranne un breve periodo. Infatti, in seguito alla partecipazione di alcuni membri della famiglia alla congiura dei Baroni, il paese fu assediato dalle truppe di Ferrante I d’Aragona nel 1460, ed il castello, espugnato, saccheggiato ed in parte distrutto. Dopo pochi anni i Gesualdo ripresero il possesso del loro feudo e del castello, che fu ricostruito, e che circa un secolo dopo, ad opera di Carlo principe di Venosa, subì ancora importanti modifiche. Il principe, ricordiamo per la storia e per la cronaca, sposò nel 1586 la cugina Maria d’Avalos, appartenente ad una delle più nobili e potenti famiglie del Regno. Costei, però, donna bellissima e molto corteggiata, divenne amante del duca d’Andria Fabrizio Carafa.


Il principe, venuto a conoscenza dell’affronto, decise di farli uccidere. Una sera dell’ottobre 1590, fece irruzione nella camera da letto di palazzo Sanseverino, sua residenza napoletana, con alcuni servi, e fece uccidere moglie ed amante. Il processo a suo carico fu archiviato per ordine del Vicerè, ma Carlo, che tra l’altro era nipote di San Carlo Borromeo, per evitare la vendetta delle famiglie Carafa e d’Avalos, fuggì a Venosa e poi nel suo inaccessibile maniero di Gesualdo, roso dai sensi di colpa. Nel 1594 si recò a Ferrara dove conobbe e sposò Eleonora d’Este e, dopo Venezia, Padova e Firenze, nel 1595 fece ritorno in Irpinia e sentì il bisogno di modificare il suo castello. Fu eliminato il ponte levatoio, i sotterranei ed i trabocchetti e furono modificati gli ambienti residenziali. Furono creati ampi e luminosi saloni per concerti e rappresentazioni teatrali, sale adibite a studio del principe con grandi vetrate che davano sul cortile interno. Al piano superiore fu costruita una cappella di cui rimane la lunetta dov’è dipinta una Madonna col Bambino; un teatro, poiché il principe fu famoso madrigalista, ed un balcone panoramico nella torre del suo appartamento.


Di fronte all’ingresso, nel cortile interno, sullo studio, fece apporre l’iscrizione latina così tradotta: “Discendente dal nobilissimo Ruggero il Normanno Duca di Puglia e di Calabria, Carlo Gesualdo Conte di Conza, Principe di Venosa, eresse”. ( Ruggero il Normanno è Ruggero Borsa, padre di Guglielmo il Bastardo ).


Nulla restava, quindi, dell’iniziale aspetto severo ed austero del castello fortificato medievale.
Mentre avvenivano queste trasformazioni, la vita del principe, però, fu tutt’altro che felice: il figlio Alfonsino morì il 22 ottobre 1600; la moglie Eleonora, per motivi di salute, lasciò Gesualdo e tornò a Modena nel 1609; un nipotino, nato dal primo figlio Emanuele, morì a pochi mesi; lo stesso figlio Emanuele morì per una caduta da cavallo, lasciando la moglie incinta. Pertanto alla morte di questo sfortunato principe, nel 1613, si estinse la sua illustre casata ed il feudo andò a Niccolò Ludovisi, marito di sua nipote Isabella. Uno stemma dei Ludovisi, infatti, tutt’ora visibile, fu realizzato sotto la volta a crociera, all’ingresso del cortile.
Il feudo con il castello furono poi venduti, per 12.000 ducati, ad Isabella della Marra, moglie di Girolamo Gesualdo, marchese di Santo Stefano ed appartenente ad un ramo collaterale della famiglia. I suoi discendenti, insigniti anch’essi del titolo di principe, da Filippo V, vendettero nella seconda metà del 1700, il feudo ai Caracciolo, principi di Torella, che lo tennero, ma non lo abitarono, fino all’abolizione delle leggi feudali. Nel contempo i frequenti terremoti, come quello del 1694, del 1732 e del 1805, danneggiavano in vario modo il castello, così come altri danni furono causati dall’arrivo delle truppe francesi, nel 1799.


In quella occasione fu fatta razzia di mobili, tappezzerie, suppellettili, arazzi e documenti vari di grande valore; fu saccheggiato il teatro e ne fu distrutto il pavimento ed il soffitto ligneo; fu asportato un grande mortaio in pietra dalle cucine, altrettanto devastate.
Fu l’inizio di un periodo di degrado e di abbandono che, nel 1850, si interruppe perché il castello fu acquistato dalla famiglia Caccese, che avviò numerose modifiche e trasformazioni. Il teatro fu diviso in vari ambienti e destinato ad altro uso; furono aperti balconi su tutto il secondo piano e create nuove aperture verso l’esterno. Solo alcuni ambienti a pian terreno conservarono le antiche caratteristiche, mentre il resto fu quasi tutto riammodernato senza badare all’antichità e all’importanza storica del maniero. I terremoti, periodicamente, continuarono a fare danni e l’ultimo, del 23 novembre 1980, dette il colpo di grazia all’edificio, che subì gravissimi danni, essendo crollata un’intera ala. Fu dichiarato inagibile e, sgomberato dai proprietari, non fu più abitato.
Attualmente, pur essendo stato messo in sicurezza, e fatto oggetto di lievi restauri, non è visitabile ed è stato acquistato al 50% circa dal Comune, con fondi regionali. L’Amministrazione conta di poter completare l’acquisizione della parte restante, seppure tra mille difficoltà, per effettuare un restauro completo ed adeguato alla sua importanza e, magari, farne un Centro studi specialistici, di importanza internazionale, sulla musica madrigalistica, intestato, ovviamente, a Carlo Gesualdo, come ben prospettato da uno stimato architetto del luogo.

 

 

 

 

 

Torella dei lombardi

 

Castello Candriano di Torella dei Lombardi sorge al centro dell’abitato di cui costituiva il baluardo difensivo. Del suo nucleo originario non è rimasta alcuna traccia, ma si intuisce che esso era a pianta quadrilatera, con i quattro lati ad angolo retto, privi di torri o opere  difensive e con un cortile centrale.

 


Il castello subì sostanziali modifiche tra il 1460 e il 1490 quando fu circondato da mura e vi furono aggiunti due robusti torrioni minori a pianta circolare. Il castello appartenne ai Saraceno per diversi secoli fino all'inizio del XVI secolo. Con la disgrazia economica e politica della famiglia feudataria, il castello passò nel 1534 ad Alfonso della Rosa, il quale, nel 1550 (o 1560), lo vendette a Domizio Caracciolo, che fu il primo membro della famiglia feudataria proprietaria del castello per ben quattro secoli. Nel Seicento, proprio ad opera dei Caracciolo, che lo modificarono in palazzo residenziale, assunse l’aspetto attuale. Essi fecero erigere il grandioso portale marmoreo d’accesso, adibirono a giardino pensile uno dei bastioni, ingentilirono gli ambienti interni e arricchirono di varie opere d’arte l’intero complesso. Il castello, oggi noto come Castello Ruspoli Principe di Candriano o semplicemente Castello Candriano, assunse tale denominazione nel 1889, quando Umberto I concesse il titolo di Marchese di Candriano a Giuseppe Caracciolo, che morì senza figli nel 1920. Il titolo nobiliare ed il castello-palazzo andarono al nipote Camillo Ruspoli, morto il quale, la vedova nel 1959, donò la struttura al Comune di cui oggi è sede.

 

 

 

Bagnoli Irpino

 

Il Castello di Bagnoli Irpino, ubicato sulla sommità del colle denominato “Serra” a poco più di 670 metri sul livello del mare, in posizione dominante nell'ambito dell’Alta Valle del Calore, si presenta come un’imponente e robusta costruzione quadrangolare fondata sulla roccia calcarea della collina.


Non vi è una data certa relativa alla costruzione del Castello, ed il Sanduzzi attribuisce l’edificazione o la riparazione di un Castello non meglio definito al tedesco Diepold Von Schweinspeunt, il quale venne in Italia nel 1191 al seguito di Enrico VI per poi ritornare in Germania intorno al 1221. Quindi in tale periodo potrebbe essere stato costruito il Castello di Bagnoli Irpino. Tuttavia, l’impianto normanno della costruzione, simile a molto altri castelli edificati nel periodo della dominazione Sveva, ci induce ad anticiparne di molto la data della sua fondazione, attribuendo questa alla famiglia degli Altavilla. Il castello fu la dimora di diverse famiglie nobili tra cui i d’Acquino, gli Sforza e i Patalucci. Furono però i Cavaniglia a lasciare l’impronta maggiore sul castello, tant’è che a partire dall’epoca rinascimentale esso venne conosciuto come Castello Cavaniglia. I Cavaniglia diedero nuovo impulso alla vita socio-economica del territorio, soprattutto grazie alla figura di Troiano che si circondò di artisti e letterati tra cui il poeta Sannazzaro, autore dell’Arcadia. L’ultima famiglia a possedere il castello fu quella degli Strozzi che lo tenne fino all'abolizione dei diritti feudali nel 1806.