Nome completo:     Regno del Belgio
Nome ufficiale:    NL- Koninkrijk België
                   FR- Royaume de Belgique
                   DE- Königreich Belgien
Lingue ufficiali:  francese (vallone), olandese, tedesco
Capitale:          Bruxelles  (168.230 ab.)
Forma di governo:  monarchia parlamentare federale
Re:                Filippo
Primo ministro:    Charles Michel
Indipendenza:      4 ottobre 1830 dal Regno Unito dei Paesi Bassi
Ingresso nell'ONU: 27 dicembre 1945 2
Ingresso nell'UE:  25 marzo 1957
Superficie:        30.536[1] km²
Popolazione:       10.712.066 ab. (2012) (76º)

 

 


 

 

Il Belgio (ufficialmente: Regno del Belgio) è uno stato federale retto a monarchia costituzionale (denominazione nelle lingue ufficiali: "Koninkrijk België" in lingua olandese, "Royaume de Belgique" in lingua francese, "Königreich Belgien" in lingua tedesca).

Il Belgio è uno Stato membro dell'Unione europea situato nell'Europa occidentale. Confina a nord con i Paesi Bassi, a est con la Germania e con il Lussemburgo, a sud e sud-ovest con la Francia e a nord-ovest si affaccia sul Mar del Nord.

Situato al confine tra l'Europa germanofona e l'area linguistica e culturale romanza, il Belgio è diviso in tre regioni. A settentrione le Fiandre la cui popolazione di lingua olandese comprende circa il 58% della popolazione totale e a sud la Vallonia, prevalentemente francofona con l'eccezione di una piccola comunità germanofona, e che costituisce il 32% della popolazione complessiva nazionale. Nel mezzo è situata la regione della città di Bruxelles, Bruxelles-Capitale che è ufficialmente bilingue, sebbene sia prevalentemente francofona, e

nella quale risiede il 10% della popolazione. Inoltre ai confini con la Germania in Vallonia si trova la Comunità germanofona del Belgio di lingua tedesca che comprende i comuni ceduti dalla Germania al Belgio nel 1919 e annessi alla Germania nazista nel 1940-1945.

Il Belgio è stato tra i fondatori dell'Unione europea e la capitale Bruxelles è sede di varie istituzioni comunitarie.
Il paese presenta evidenti tracce di presenza umana risalente alla preistoria, in particolare nei siti megalitici di Oppagne e di Wéris, dove si riscontrano interessanti dolmen.
I primi abitanti storici del Belgio, chiamati Belgi, erano principalmente membri di tribù celtiche, che vivevano nella Gallia settentrionale e vennero sopraffatti da Giulio Cesare nel 54 a.C., come egli descrisse nel suo De bello Gallico. Fu lo stesso Cesare a notare il particolare valore dei belgi in battaglia tanto da scrivere: "horum omnium fortissimi sunt Belgae" ovvero "tra tutti i popoli della Gallia i più valorosi sono i Belgi". L'attuale nome del paese viene dal termine "Gallia Belgica" in uso presso i romani.

 




 


 

 

A Tirlemont /Tienen si trovano alcune tombe romane denominate "Trois tumuli" (Tumuli de Grimde) a forma di tre piccole colline. Siti funerari romani si possono trovare anche a Guèronne e a Billemont (trou de Billemont). Si tratta di tumuli con camera sepolcrale e tomba che presentano singolari affinità con le tombe etrusche e sembra possano essere sorte su siti di epoca più antica.

 

 

 

 

 

 

 

 



Dopo il collasso dell'Impero Romano (V secolo), le tribù germaniche invasero la provincia romana della "Gallia". Una di queste popolazioni, i Franchi, installarono infine un nuovo regno sotto il governo della dinastia Merovingia. Clodoveo I fu il più famoso di questi re: egli si convertì alla cristianità e governò dal nord della Francia, ma il suo impero comprendeva anche il Belgio. Studiosi cristiani, principalmente monaci irlandesi, predicarono il Cristianesimo e cominciarono l'opera di conversione degli invasori pagani.

Merovingi ebbero vita abbastanza breve, e la dinastia carolingia prese il sopravvento: dopo che Carlo Martello contrastò l'invasione moresca dalla Spagna (732 battaglia di Poitiers), il loro famoso re, Carlo Magno, raccolse gran parte dell'Europa sotto la sua sovranità e venne incoronato come "Imperatore del Sacro Romano Impero" dal Papa (Natale dell'800).

Il feudalesimo europeo divenne la base per la stabilità militare, politica ed economica. La cristianità fiorì sotto la protezione di questi governanti e tramite la fondazione di comunità religiose e monasteri, chiese e pellegrinaggi. La magnifica Grande Place / Grote Markt di Bruxelles / Brussel La regione venne in seguito associata ai Paesi Bassi, quindi passò sotto il dominio della Borgogna prima e della Spagna poi, fino a quando le province protestanti si autodichiararono indipendenti (vedi Paesi Bassi). Seguì la dominazione austriaca a partire dalla pace di Utrecht (1713), e alcuni decenni dopo quella francese sotto Napoleone.

Dopo la deposizione di Napoleone, sconfitto a Waterloo il 18 giugno 1815, il Belgio venne riunito con le province settentrionali in un unico Regno Unito dei Paesi Bassi fino a quando, nel 1830, la rivoluzione belga portò al costituirsi di uno stato belga indipendente (riconosciuto nel 1839). La rivoluzione belga venne iniziata dalla componente francofona, cattolica e liberale che controllava le industrie e altre fonti economiche e che non voleva vivere sotto un'amministrazione di lingua olandese.[5] Dal 1830 al 1898 soltanto il francese era lingua ufficiale. La componente fiamminga venne discriminata. Nel corso del secolo XX, il movimento fiammingo riuscì a diminuire i privilegi dei francofoni. Negli anni sessanta, la frontiera linguistica fu infine stabilita. Una parte del territorio di lingua olandese fu incorporata nel territorio bilingue di Bruxelles. Comunque, in alcuni comuni delle Fiandre, ufficialmente di lingua olandese, i francofoni mantengono certi diritti, come la possibilità di votare per i partiti francofoni, che non esistono per i fiamminghi nella Vallonia.[senza fonte]

Esistono sia in Vallonia, sia nelle Fiandre, sia nei comuni di lingua tedesca, delle "facilità" amministrative per i residenti di un altro o degli altri regimi linguistici. In questi comuni, i residenti possono rivolgersi all'amministrazione cittadina in un'altra lingua rispetto a quella della regione in cui si trova il comune.

Il re belga, Leopoldo I di Sassonia-Coburgo, venne scelto con l'assistenza dei britannici; la neutralità della nazione venne garantita contro future aggressioni militari straniere. Tale neutralità venne violata nel 1914, quando la Germania invase il Belgio, come parte del Piano Schlieffen. Il Belgio cercò di tornare alla neutralità negli anni trenta, ma venne nuovamente invaso dalla Germania nazista nel 1940.

Dopo la seconda guerra mondiale la politica della neutralità venne abbandonata, e il Belgio entrò nella NATO e nella Comunità Economica

Il Belgio ebbe un'importante colonia in Africa durante la sua storia: il Congo, che venne dato a re Leopoldo II con la Conferenza di Berlino del 1884-1885. Egli considerò il territorio come una sua proprietà privata e lo chiamò Stato Libero del Congo. In questo Stato Libero, la popolazione locale venne brutalizzata in cambio della gomma, un mercato in crescita con lo sviluppo degli pneumatici.

L'importanza del commercio dei diamanti ha permesso ad Anversa di diventare un centro di rinomanza mondiale nel settore. Nel 1908, la pressione internazionale contro le crudeltà di re Leopoldo divenne così forte che Leopoldo II fu costretto a dare la sua proprietà allo stato belga come colonia. Da allora divenne il Congo Belga, prima di ottenere l'indipendenza nel 1960.

Il coinvolgimento all'estero del Belgio crebbe dopo la prima guerra mondiale, quando due colonie tedesche, Ruanda e Burundi, vennero affidate al Belgio dalla Società delle Nazioni. La politica belga nell'amministrazione e nello sviluppo socio-culturale di queste nazioni è stata pesantemente criticata, molti videro le decisioni belghe come un fattore significativo nei problemi che afflissero il Ruanda negli anni novanta. [senza fonte] Fin dall'inizio del XX secolo la storia del Belgio è stata sempre più dominata dalla crescente autonomia delle sue due comunità principali, fiamminga e vallone. A conferma di ciò, a partire all'incirca dal 1970, non esistono più partiti nazionali in Belgio, ma solo partiti fiamminghi o valloni. I reiterati tentativi di stabilire partiti nazionali, producono risultati, in termini di voti, inferiori all'1% dell'elettorato. I partiti di Bruxelles non presero mai il via (come nel caso del "Blauwe Leeuwen" e del "Rode Leeuwen" dei fiamminghi di Bruxelles), o si fusero con uno dei partiti liberali della comunità francofona (come l'FDF). Per questo, il panorama politico mostra un sistema duale che riflette le due comunità dominanti soggiacenti. Dopo le elezioni politiche del giugno 2007 queste divisioni politiche si sono ulteriormente accentuate, tanto da trascinare il paese in una crisi istituzionale particolarmente grave, durante la quale sono stati necessari 196 giorni per creare un governo. Nel novembre 2007 si è tenuta a Bruxelles una manifestazione popolare in favore dell'unità del paese e contro il progetto di trasformarlo in una confederazione di stati autonomi a base etnico-linguistica. La crisi politica ha trovato il suo culmine dopo le elezioni del 2010: per 541 giorni il Belgio non ha un governo ufficiale. Tale crisi si risolve a dicembre del 2011, quando il vallone socialista di origini italiane Elio Di Rupo forma una coalizione di governo. Il 21 luglio del 2013, in occasione della festa nazionale, il re Alberto II abdica dopo vent'anni di regno in favore del figlio Filippo, che diviene così il settimo re dei belgi.

 

 

 

 

 

 

    l'Atomium al Parco Heysel

 

 'Atomium, un cristallo di ferro "ingrandito", è aperto tutti i giorni dalle 10 alle 6 del pomeriggio, ma è bene sapere che se passate da queste parti durante i week-end e volete prendere l'ascensore per visitare le sfere più alte, quelle che permettono la vista più bella o di mangiare qualcosa al ristorante, l'attesa in fila può durare dai 30 ai 40 minuti.

L'accesso alle altre sfere (sono 9 in tutto) non è consentito ai visitatori con disabilità, visto che l'unico modo per passare da sfera a sfera, dove si tengono esposizioni permanenti o temporanee, passa attraverso scale mobili. La visita è guidata; potete evitare la guida solo se avete prenotato in gruppo di almeno 20 persone.

L'ingresso all'Atomium è gratuito per i bambini sotto i 6 anni, mentre fino agli 11 si pagano 2 euro, 4 fino ai 18 ed oltre i 65 anni. Noi adulti normali di euro ne paghiamo 7. Tra le avvertenze sappiate che se soffrite di vertigini o claustrofobia l'Atomium non fa per voi, e visitarlo con i tacchi alti è vivamente sconsigliato.

 

 

 

   

Gli italiani in Belgio 

La storia dell’emigrazione italiana in Belgio inizia già negli anni Venti, quando, dopo la prima Guerra Mondiale, Charleroi, la capitale del Paese Nero, Liegi, la Città Ardente e Mons 2015, Capitale Europea della Cultura con le loro miniere di carbone divennero una sorta di “terra promessa” per quei primi 20.000 lavoratori italiani alla ricerca di un futuro migliore. La carenza di mano d’opera in Belgio e l’esigenza di ricostruire il paese, indusse infatti molti italiani a cercare lavoro in quello che fu ben presto soprannominato il “paese nero”. Ma è dopo la seconda Guerra Mondiale che in quelle zone minerarie la presenza di lavoratori stranieri diventa massiccia. Dal 1946 al 1957, favorita anche dall’accordo fra i due paesi che in cambio di mano d’opera offriva una sostanziosa fornitura annuale di carbone,  303 treni portarono dall’Italia in Belgio intere famiglie che nella loro terra d’origine sarebbero state sicuramente condannate alla miseria.

Attratti da un salario impensabile nel loro paese, da numerosi vantaggi come assegni familiari, carbone e viaggi gratuiti, pensionamento anticipato, moltissimi italiani, provenienti da tutte le regioni, accettarono così la via dell’emigrazione spesso inconsapevoli di quanta sofferenza e sacrificio avrebbero dovuto sopportare.Il problema dell’alloggio, ad esempio. In molti casi, infatti, quello che atte ndeva ilmigliaio di lavoratori che ogni settimana arrivava in massa in Belgio erano vere e proprie baracche dal tetto di latta invivibili sia d’estate sia d’inverno, costruite alla bell’e meglio in accampamento sul terreno dei campi di prigionia di pochi anni prima. 

Eppure, nonostante tutto, numerosi italiani hanno scelto il Belgio come il loro nuovo paese dando vita a una forma di integrazione che nel corso degli anni si è rivelata vincente. Nel 1955 i minatori italiani rappresentavano più del 32% dei minatori impiegati in Belgio. Ma ci vorrà la catastrofe del Bois du Cazier: museo della Miniera, del Vetro e dell'Industria (MARCINELLE) di Marcinelle dell’8 agosto del 1956 dove morirono 262 minatori fra i quali 136 italiani a mettere in discussione la politica dell’immigrazione e a rivelare all’opinione pubblica internazionale le difficilissime condizioni della vita in miniera. Il problema della sicurezza nelle miniere subì finalmente una revisione totale, fu riconosciuta la comunitàdegli immigrati e, anche se dopo questa data arrivarono a lavorare in Belgio ancora altri italiani, in realtà la nuova immigrazione fu costituita da spagnoli, greci, turchi e marocchini che lavorarono a Marcinelle fino al dicembre del 1967 quando la miniera cessò definitivamente la sua attività.

Oggi, il Bois du Cazier, teatro del più grave disastro minerario mai avvenuto in Belgio, non è solo la sede del Museo dell’Industria e il Museo del Vetro (MARCINELLE) Charleroi ma è soprattutto un luogo che invita a ricordare e a riflettere. L’ex sito minerario è diventato un punto di riferimento per i numerosi turisti che ogni anno vi giungono da tutta Europa e che vi ritrovano un capitolo importante della storia industriale della Vallonia, ma anche della storia dell’emigrazione in questo paese. L’ultima miniera chiusa in Belgio è quella di Blegny a 10 km. da Liegi. Oggi ospita un interessante museo di storia e di documentazione, il CENTRO TURISTICO DI BLEGNY-MINE - MUSEO DELLA MINIERA (BLEGNY) che accoglie ogni anno numerosissimi visitatori che hanno anche l’opportunità di compiere un'emozionante discesa nelle viscere della terra fino a 530 metri di profondità. 

Anche l’ex miniera del Grand-Hornu: archeologia industriale e esposizioni temporanee (HORNU) nei dintorni di Mons è oggi un’importante meta turistica con il Museo delle Arti Contemporanee - MAC's (HORNU) inaugurato nel 2002. Ma un tempo accoglieva ben 2500 lavoratori nel grande complesso industriale e urbanistico creato come una ideale città operaia da Henry de Gorge. Visitare questi luoghi di un passato recente suscita ogni volta una profonda emozione ma fa anche riflettere positivamente sulla realtà di oggi dove i discendenti dei minatori di allora si sono molto ben inseriti nelle varie città del Belgio occupando spesso posizioni molto importanti.

E gli italiani, in particolare, non dimenticano certo le loro origini, aiutati in questo dalla diffusione di Radio Hitalia a Liegi e Radio Italia a Charleroi. Anche se la loro cultura è entrata a far parte ormai del nuovo paese di adozione, lo “spirito italiano” è qualche cosa di speciale che sopravvive ovunque e che si avverte tangibilmente. Ce lo ricorda infatti lo sventolio di una bandiera a un balcone o la fotografia di un famoso calciatore o dell'attrice preferita in bella mostra nei negozi e nei bar di Liegi, di Charleroi o di Mons dove non è raro sentir parlare la lingua di origine.

Quando poi c’è l’occasione di assistere a un evento d’eccezione come ad esempio la vittoria dell’Italia negli ultimi campionati mondiali di calcio, per i “belgitaliani” è davvero festa grande, un tripudio di autentica gioia che ha il pregio di unire ancora di più.

“Il mio primo giorno, non me lo scorderò mai”, racconta Urbano Ciacci, classe 1935, uno degli ultimi minatori viventi della miniera di “Bois du Cazier”. Nato nelle campagne di Cartoceto, cresciuto a Fano e tuttora residente con la sua famiglia in Belgio a Marcinelle. “Avevo 19 anni e pensavo che non avrei mai più visto la luce del giorno. Dalla gabbia era uscita una marea di uomini tutti uguali, la faccia nera come il carbone appena scavato. I capi ci chiamavano non per nomi ma con il numero delle nostre medaglie. Io, ero il 117 che mi ha portato fortuna, anche se più che altro la mia salvezza la devo alla mia Elsa. Si siamo sposati a Fano il 29 luglio 1956, un’anno dopo il mio arrivo a Charleroi. Tuttavia non avendo il nulla ost per l’espatrio, sono arrivato a “Bois du Cazier” il giorno dopo la tragedia, saltando un turno che forse mi sarebbe stato fatale”. Da quel momento, Urbano sarà anche lui nella folla accalcata che seguì, livello dopo livello la discesa degli soccorritori. Tra loro degli italiani e dei fiamminghi che quando riuscirono per primi a setacciare la mattina del 23 agosto il famoso piano 1035 metri sotto terra, dichiararono “tous morts”, “allen dood” , “tutti cadaveri” mettendo fine alle speranze dopo 15 giorni di corsa contro il tempo.
A “Bois du Cazier”, Urbano di nuovo scenderà. Parecchie settimane dopo. Il tempo di spingere gli incendi e armare di nuovo le gallerie nelle quale morirono 262 minatori intrappolati nelle viscere di una miniera che aveva la pessima fama di essere la più pericolosa del Belgio. Tra di loro 136 italiani venuti di ogni parte dello stivale. Dalle Marche erano in 13 e nove del pesarese. Dopo tre giorni, Urbano tuttavia chiede il trasferimento. “Vedevo ovunque i visi dei morti. Le associavo ai posti dove l’ultima volta le avevo visto lavorare; nello spogliatoio, immaginavo sui ganci i loro vestiti; nei parcheggi, dove avevano lasciavano le loro biciclette”. La società mineraria sa tuttavia che Ciacci è un ottimo lavoratore, che ha un potenziale per essere un responsabile di squadre. Una virtù che accomuna i minatori di origine marchigiana ed umbra che in molti saranno nominati capi nelle miniere di Charleroi, Liège e della Campine e a cui sindacati e società affideranno le loro chiusure. Gente giudicata seria, coscienziosa, affidabile, onesta dotata di quella giusta autorevolezza per dirigere uomini. Come se la tempra è anche una questione di DNA. Urbano sommerà venticinque anni di discesa. Diciotto quali “chef curion”. “Ad ogni discesa, mi è rivenuto in mente i compagni morti a “Bois du Cazier”. Non solo gli italiani ma anche i belgi, i polacchi, i francesi. Perché lì nel fondo eravamo tutti uguali. Eravamo quelli che avevano messo nel proprio lavoro la speranza di una vita migliore per se stessi e per far crescere la propria famiglia.”

Urbano è l’attuale presidente dell’associazione ex minatori di Marcinelle appartiene ad una Italia che non si può dimenticare. Un’Italia povera che ha dovuto lasciare partire i propri figli per il mondo. Erano i tempi dove il Belgio aveva bisogno di mano-d’opera per vincere quella che Van Acker, il primo ministro, titolare anche del portafoglio dell’attività mineraria , chiamò “la battaille du charbon” . Una battaglia fatta prima con i prigionieri di guerra polacchi liberati nel 47 finché la Polonia passa al di là della cortina di ferro. Poi con un protocollo con l’Italia a giugno 1946 che prevede la partenza di cinquanta mila lavoratori per le miniere del Belgio in cambio di 200 chili di carbone per ogni lavoratore al giorno. Tra il 1946 e il 1948, 65.000 uomini, convinti da manifesti di color rosa, partirono con 85 convogli. All’inizio sono parcheggiati nei vecchi campi di prigionia poi nelle abitazioni delle società miniere e nelle “barraques” spesso peggio delle case che hanno lasciato. Le clausole del contratto sono vessatorie: non possono andarsene prima di 12 mesi, pena detenzione, e nemmeno cambiare lavoro prima di aver trascorso 5 anni in miniera.

“Con la tragedia di Marcinelle”, spiega Franco Costanzi, presidente dell’associazione marchigiani lavoratori emigrati, “si segnò una svolta nella sicurezza nelle miniere.” Un problema che si voleva ignorare anche se non passava un giorno senza un morto per incidente. “Oltre alla sicurezza, Marcinelle, precisa Amilcare Venturi, rimasto a vivere ad Ougrée, responsabile dei marchigiani emigrati in Belgio, “ha avuto un’altra conseguenza. Quello di nobilitare la presenza degli italiani nel paese, che fino a quel momento erano visti come i nemici della seconda guerra mondiale alla pari dei tedeschi e a cui non si affittavano case.” 

Marcinelle-razzismoOggi, in Belgio gli Italiani sono la seconda comunità del paese. Ci sono i figli, i nipoti, i pronipoti di chi ha emigrato tanti anni fa e non ha voluto ritornare in patria. “Perché il Belgio, dandoci lavoro, ci ha dato tanto”, precisa Urbano Ciacci. Lui, la sua vita in miniera non la rimpiange. Sicuramente perché fa parte dei fortunati che non hanno avuto conseguenze. Perché nell’invito ad andare a lavorare in Belgio, nessuno aveva parlato della silicosi polmonare. Solo il 24 dicembre 1963, il Belgio con una legge la riconoscerà quale malattia professionale. Dopo che l’Italia, a luglio 1962, aveva preso in carico l’indennizzo della malattia in attesa che il governo belga lo facesse. Intanto nei vecchi ospedali, come a Bavière di Liège, colpiscono i pannelli e le frecce che indirizzano i pazienti verso i reparti dedicati alle vie respiratorie. Sono bilingue. Il che si spiega in un paese spezzato tra il francese e il fiammingo. Salvo che lì a fare da pendant alla lingua di Voltaire è quella di Dante, segno che sono transitati lì tanti nostri connazionali.

 

 

 

 

 

Mineurs

un film per commemorare la tragedia di Marcinelle

 
Per commemorare la tragedia nazionale di Marcinelle, l'8 agosto in seconda serata la RAI trasmetterà il film Mineurs - minatori e minori un film emblema dei minatori italiani in Belgio, che hanno contribuito con il loro sudore a garantire il carbone ad una Italia senza materie prime, dopo i terribili danni della seconda guerra mondiale

L’8 agosto del 1956 a Marcinelle nelle miniere di carbone del Belgio morirono 262 minatori di cui 136 italiani. Proprio il prossimo 8 agosto la RAI commemora quella che è passata alla storia come la tragedia di Marcinelle, una tragedia nazionale mai dimenticata, trasmettendo su RAI Uno, in seconda serata, il film Mineurs - minatori e minori, di Valeria Vaiano e Fulvio Wetzl.

Il film, emblema dei nostri minatori in Belgio, che hanno contribuito con il loro sudore a garantire il carbone ad una Italia senza materie prime, dopo i terribili danni della seconda guerra mondiale, racconta la storia della massiccia emigrazione negli anni '50 dall’Italia, ed in particolare dalla Lucania, verso le miniere del Belgio. In Mineurs si intrecciano affermazioni personali, conquiste strappate, rivalse sociali e culturali, come quelle dell’emblematico minatore Michele Doino di Bella. Un film che riporta alla memoria pagine dolorose per molti italiani, ma che conferma anche la tenacia e la grande capacità di adattamento e di coraggio del nostro popolo. Un mosaico cinematografico che ricordando le vite dei minatori di Marcinelle, offre una visione degli italiani e dei lucani avvincente e positiva, che ci inorgoglisce.

Tutto è nato dalla richiesta che il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, ha avanzato alla presidente della RAI, Anna Maria Tarantola, di far conoscere a tutti gli italiani una testimonianza che di sicuro evoca atmosfere ormai scomparse, ma che deve essere ricordata. Richiesta accolta dalla Tarantola che, dando spazio a questa proiezione nazionale, darà a tutta l'Italia la possibilità di conoscere questa storia, desiderio espresso anche dal minatore e sindacalista Pietro Cristiano, al termine delle riprese in Belgio, durante l'ultima scena del film.

Il film parte dalla Basilicata in un paese immaginario, emblema della Lucania, che ha unito strade, piazze, scorci, chiese, monumenti di undici incantevoli comuni coinvolti: dalla bella fontana Cavallina di Genzano, alla scalinata della parrocchia di San Fele, al santuario di Pierno, fino ad arrivare ai vicoli di Oppido, Acerenza, Ruoti, il lavatoio di Atella (tra i comuni coinvolti anche Bella, Cancellara, Rapolla, Rionero, Satriano di Lucania e Muro Lucano). La storia, poi, si sposta in Belgio, nel Limburg, per raccontare gli ambienti severi e problematici delle miniere di Beringen, Winterslag, Waterschei, fino ad arrivare nella scuola di Maasmechelein, dove i piccoli italiani imparavano con coraggio il fiammingo e facevano amicizia con le ragazzine del posto. Fra la Basilicata e il Belgio, c'è il lungo viaggio nelle carrozze con i sedili di legno e il controllo delle autorità svizzere che non lasciavano scendere i passeggeri. Altri tempi da non dimenticare. 

 

 

 

 

 

Valeria Vaiano

Valeria Vaiano (Nusco, 28 giugno 1969) è un'attrice italiana.

Attrice campana, dopo alcuni anni di apprendistato con vari e prestigiosi insegnanti come Akira Kasai, Francesca De Sapio, Alfonso Santagata, Hal Yamanouchi, Renato Carpentieri, Ferruccio Soleri, Iwayan Puspayadi, Giulia Lazzarini, Marise Flash, Franca Nuti e laboratori con Tonino Accolla, Mamadou Diome (compagnia di Peter Brook), si rivela al grande pubblico in teatro nel 2002, con i due atti unici Per disgrazia ricevuta e Il mio cuore nelle tue mani scritti apposta per lei e Tina Femiano, dal drammaturgo napoletano Manlio Santanelli. In quegli anni esordisce in televisione ne La squadra con il ruolo di un'interprete della lingua dei segni (LIS) chiamata a decodificare un delitto.

Nel 2004 conosce Fulvio Wetzl con cui in cinque anni realizzerà come produttrice, sceneggiatrice, aiuto regista e attrice protagonista, otto tra documentari, lungometraggi, film didattici e performance teatrali. Con Wetzl ha fondato la società di produzione VAWE- un'onda anomala nel cinema italiano. Tra le opere più importanti Non voltarmi le spalle (2006 - girato a Rovereto, storia della difficile integrazione di una ragazza sorda in una scuola del nord Italia), Mineurs - Minatori & minori (2007, storia dell'emigrazione dal sud dell'Italia alle miniere del Belgio, visto attraverso l'ottica di un gruppo di bambini lucani; film di apertura del Giffoni Film Festival 2007 e presentato al Los Angeles festival), Libera nos a malo (film) (2008 - documentario sui delitti irrisolti in Basilicata, prodotto dall'associazione Libera, presieduta da Don Ciotti), Vultour - le tracce del sacro - territorio ed identità (2008 - presentato dal Sindacato Giornalisti Cinematografici a Venezia). Il suo film Mineurs, che tratta la storia di una famiglia Lucana espatriata in Belgio negli anni 50, in cui lei interpreta il ruolo di una mamma coraggiosa ed intraprendente, ha fatto il giro del mondo ed è stato visto da moltissime comunità italiane che hanno vissuto la stessa esperienza, vincendo le diffidenze del paese ospite e integrandosi con successo nel tessuto della nuova nazione. La comunità italiana in Belgio ha partecipato al film con un cast volontario di più di 100 persone trascinate dall'entusiasmo di Valeria. Ma il film è anche l'occasione per ammirare i più bei panorami della Basilicata. Il suo film apre anche il Giffoni film festival del 2008, ottenendo uno strepitoso successo. Nel 2010 diviene, su sollecitazione dei dirigenti, direttrice artistica e scientifica dell'associazione Asmef che si occupa a livello italiano di tenere i rapporti con le nostre comunità all'estero e sulla scia del suo grande impegno sociale a favore dei sordomuti, come una novella Jane Fonda, si occupa di battaglie civili a favore del consumatore europeo, visto anche il suo back ground di studiosa di diritto comunitario, presso l'Istituto Universitario Navale di Napoli. La poliedricità di molte donne attrici è proverbiale: non dimenticano appunto il loro senso profondo di amore e di rispetto per la vita. La Vaiano sta preparando, sulla scia di questa maturazione sociale dell'artista, la sceneggiatura di un nuovo film sulla eroina risorgimentale gallipolina, napoletana d'adozione, Maria Antonietta De Pace, che, giovanissima, organizzò la rete dei cospiratori mazziniani tra Salerno e Napoli, contro la dinastia borbonica, per l'ideale repubblicano. La sceneggiatura parte originalmente dalla biografia del marito di lei, Beniamino Marciano. 

 

 

 

 

 

Italo-belgi famosi talo-belgi famosi


•    Salvatore Adamo (1943-), cantautore (nato in Italia).
•    Claude Barzotti (1953-), cantante (genitori italiani).
•    Walter Baseggio (1978-), calciatore (genitori italiani)
•    Lucien Bianchi (1934-1969), pilota automobilistico (nato in Italia).
•    Jérôme d'Ambrosio (1985-), pilota automobilistico
•    Elio Di Rupo (1951-), politico, Primo Ministro del Belgio (genitori italiani)
•    Lara Fabian (1970-), cantante internazionale (madre italiana).
•    Francesco Barracato, cantante.
•    Rocco Granata (1938-), cantautore internazionale (genitori italiani)
•    Sandra Kim (Sandra Caldarone; 1972-), cantautrice internazionale (padre italiano)
•    Sébastien Pocognoli (1987-), calciatore
•    Silvio Proto (1983-), calciatore
•    Paola Ruffo di Calabria (1937-), Regina del Belgio (nata in Italia).
•    Enzo Scifo (1966-), calciatore e allenatore (di genitori italiani).
•    François Sterchele (1982-2008), calciatore

 

 

  

 

 

 

Rocco Granata

 

nasce il 16 agosto del 1938 a Figline Vegliaturo, in provincia di Cosenza. Celebre cantante, è noto soprattutto per il suo brano di enorme successo "Marina".

Ancora bambino emigra con la famiglia in Belgio, a Waterschei. Mentre il padre lavora in una miniera di carbone, Rocco - costretto a cambiare vita a soli dieci anni - insegue il sogno della musica: suona la fisarmonica e, crescendo, si esibisce in tutto il Belgio con il suo gruppo, The International Quintet.

Nel 1959 registra il 45 giri "Manuela / Marina": il lato B diventa ben presto un successo internazionale, toccando la vetta delle classifiche di vendita del Belgio e della Germania, ma guadagnando riscontri più che positivi anche nel resto d'Europa e negli Stati Uniti (solo in Germania vende più di un milione di copie, aggiudicandosi il disco d'oro).

La storia di "Marina", tra l'altro, è piuttosto curiosa: Rocco, infatti, aveva scelto di usare come singolo "Manuela", mentre "Marina" era solo un lato B scritto e registrato all'ultimo momento, quasi improvvisato nel corso di una serata in cui il cantante dal palcoscenico aveva notato un cartellone pubblicitario di Marina, una marca di sigarette. "Marina" inizialmente aveva faticato a imporsi, al punto che era stato lo stesso Rocco Granata a fare stampare a sue spese trecento copie del disco, per poi fare risuonare il singolo nei jukebox locali, così da aumentare la fama della canzone.
Dopo il successo di "Marina" gira il mondo in tour, esibendosi anche al Carnegie Hall a New York al fianco di Conny Francis e avendo la possibilità di incidere un Lp - sempre a New York - con Joe Zito, arrangiatore e collaboratore di artisti come Dean Martin e Frank Sinatra.

Nel 1960 Rocco Granata prende parte ad alcune produzioni tv ("Gauner-Serenade" e "De Muziekkampioen"), mentre al cinema esce il film "Marina", che contiene numerosi suoi successi e che vede nel cast di attori Rudolf Platte, Renate Holm e Rex Gildo.

Nel 1961 l'artista italo-belga prende parte a "Treffpunkt Telebar" e si esibisce al Festival di Sanremo con il brano "Carolina, dai!", cantato insieme con Sergio Bruni: il pezzo, però, non riesce ad andare più in là della nona posizione. Nei mesi successivi, registra per Bluebell i 45 giri "Germanina / Ein italiano", "Carolina, dai! / Biondina", "Signorina bella / Gisella" e "Irena / Lacrime d'amore".

Tra il 1963 e il 1964 pubblica i singoli "Oh, oh, Rosi", "Buona notte" e "Du Schwarzer Zigeuner". Negli anni successivi diventa anche produttore discografico, grazie alle etichette Cardinal Records e Granata Records, con le quali produce Marva, Miel Cools, Louis Neefs e De Alegasten.

Nel 1989, esce una versione dance di "Marina" remixata, che entra in classifica non solo in Belgio, ma anche in Italia e in Germania; l'arrangiamento new beat viene apprezzato così tanto che Rocco Granata intraprende addirittura un tour in Sud Africa.

 

 

 

 

 


 

     Adamo

 

Nel 1947 suo padre si trasferisce in Belgio per lavorare nelle miniere della Vallonia, portando il piccolo Salvatore, la famiglia risiede a Jemappes nei dintorni di Mons.
Nei primi anni sessanta l'Italo-belga Adamo partecipa a un concorso radiofonico di Radio Lussemburgo, vincendo la finale a Parigi ed inizia ad esibirsi presentando le sue prime canzoni, scritte in francese, caratterizzate da una vena melodica interessante, frutto dell'incontro tra la tradizione italiana e quella cantautorale d'oltralpe.
Il primo successo arriva nel 1963 con Sans toi ma mie (Sei qui con me), si trasferisce a Parigi dove l'album di debutto: "63/64" con "Tombe la neige" e "Vous permettez, Monsieur?" che nel 1964 arriva prima in Francia per quattro settimane, nei Paesi Bassi per undici settimane ed in Belgio e lo trasforma in una celebrità mondiale. Nel 1965 La Nuit arriva prima per undici settimane in Francia e terza in Belgio e Mes Mains Sur Tes Hanches prima per undici settimane in Francia e seconda in Belgio.
Nel 1966 Une Mèche de Cheveux arriva prima in Francia per cinque settimane e quarta in Belgio, Ton Nom prima in Francia per quattordici settimane e settima in Belgio e Le Coeur en Bandoulière prima in Francia per due settimane. Nel 1967 Inch Allah arriva prima in Francia per cinque settimane e quarta in Belgio e Une Larme aux Nuages prima per sette settimane in Francia e quarta in Belgio.
Inizia a pubblicare i suoi dischi anche in Italia, raccogliendo anche qui il successo con Cade la neve - Vous permettez Monsieur - Perduto amor - Non voglio nascondermi - La notte - Amo - Una ciocca di capelli - Se mai - Non mi tenere il broncio - Lei che nel 1966 arriva al primo posto in classifica - Il nostro romanzo - Insieme - Inch'Allah - Affida una lacrima al vento - La tua storia e una favola - Tu somigli all'amore - Accanto a te l'estate - Felicità - È la mia vita ...

Incide anche la canzone Dolce Paola dedicata a Paola Ruffo di Calabria futura regina del Belgio, di cui si dice che il cantautore fosse innamorato. Nel 1968 con Affida una lacrima al vento (Accroche une larme aux nuages), vince il Festivalbar ed occupa il 1º posto della hit parade, come con altre sue canzoni. Nello stesso momento la sua canzone Tu somigli all'amore (L'amour te ressemble) diventa la sigla della trasmissione televisiva "Disco verde". Nel dicembre 1968 il singolo Pauvre Verlaine arriva primo in Francia.

Nel 1969 il singolo Petit bonheur arriva primo in Francia per due settimane e nono in Svizzera. Nello stesso anno sposa Nicole che lo renderà padre di due figli: Anthony nato nel 1969 e Benjamin nato nel 1980. È anche padre di Amelie, nata nel 1979 da una relazione con l'attrice tedesca Annette Dahl.

Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta scrive alcuni testi interpretati dalla sorella Delizia Adamo.
Nel 1976 partecipa come ospite al Festival di Sanremo. Egli, comunque, rimane noto nei paesi francofoni, ispanici, in Russia e Giappone.
Negli anni 80 riduce l'attività lavorativa anche a seguito di problemi di salute.
Dal 1993 Adamo è ambasciatore dell'UNICEF per il Belgio. Nel 2001 viene insignito del titolo nobiliare di "Cavaliere" dal re Alberto II del Belgio e l'anno successivo viene nominato "Officiale dell'ordine della Corona".
Nel 2010 riceve il "Grand Prix internationale de poésie francophone" per l'insieme della sua opera e nel 2014 il premio Victoire de la musique d'Onore per festeggiare i suoi 50 anni di carriera.
Ad oggi Adamo ha venduto oltre 100 milioni di dischi nel mondo. Secondo le statistiche è ai primi posti delle vendite nel Belgio, e tra i migliori 100 a livello mondiale. In questo elenco oltre a lui ci sono solo altri 4 artisti francofoni: Tino Rossi, Charles Aznavour, Dalida e Johnny Halliday. Nonostante abbia vissuto praticamente sempre in Belgio non ha mai rinunciato alla nazionalità italiana, sia per un senso di dovere verso il padre sia per l'impossibilità legale di avere la doppia nazionalità in Belgio. Nel 2010 la legge viene modificata e lui può iniziare la pratica per ottenere la doppia nazionalità. Tuttora vive aUccle, nei pressi di Bruxelles.

 

 

 


 

     Claude Barzotti

 

 

Nacque in Belgio da genitori marchigiani, ma crebbe in un paesino della Provincia di Pesaro e Urbino. L'Italo-belga Francesco Barzotti si trasferì definitivamente in Belgio all'età di 18 anni.

Attualmente vive a Court-Saint-Étienne. Non si è mai sposato ed ha due figlie, Vanessa e Sara. Suo fratello Alessandro è il suo manager ed è colui che gli è sempre stato accanto anche durante i suoi problemi con alcol. Con la sua voce roca ha avuto grande successo negli anni ottanta ed anni novanta.
Carriera

Francesco (?) Barzotti iniziò la sua carriera con il successo Madame, che raggiunse le 400.000 copie vendute in pochi mesi in Francia e Belgio nel 1981. In quello stesso anno fece il suo disco polemico Le Rital, difendendo le sue origini italiane (il termine "Rital" è un sinonimo un poco dispregiativo francese per definire gli Italiani). Negli anni ottanta e novanta Barzotti ottenne i suoi maggiori successi, come con il disco Amami, andando anche nel Québec ed in Italia. A seguito di una sua produzione un poco xenofoba (La France est aux Français il Barzotti ha ricevuto alcune critiche recentemente. Gravement touché au rein, Claude Barzotti est actuellement soigné pour vaincre la maladie et le chanteur italo-belge n’a pas caché ses doutes quant à la suite de sa carrière.

Claude Barzotti va mettre du temps avant de remonter sur scène et chanter à ses fans la plus célèbre de ses chansons, le Rital. Le chanteur belge d’origine italienne doit lutter contre un grave pépin de santé et l’épreuve est très douloureuse pour lui. "Je viens d'être hospitalisé pour un grave problème au niveau des reins. J'ai des calculs qui m'ont provoqué une douloureuse colique néphrétique. Cela faisait tellement mal qu'on a dû me faire une quinzaine de perfusions pour m'apaiser. Je ne souhaite cela à personne", a expliqué Claude Barzotti dans les colonnes de l’hebdomadaire à France Dimanche.

Ce n’est pas la première fois que le chanteur de 61 ans doit faire face à ce genre de douleurs. Il a déjà été opéré d’un rein en 1975 et il ne lui reste plus qu’un rein. Les médecins doivent donc gérer son cas avec minutie et il ne repassera pas sur la table d’opération. Malgré les anti-douleurs administrés, Claude Barzotti continue d’avoir atrocement mal et il broie du noir sur son lit d’hôpital : "Je mentirais si je disais que tout va bien, car je souffre le martyre. Ça joue forcément sur le moral. J'en viens à me poser des questions sur la suite de ma carrière." C’est peut-être prématuré d’évoquer le mot retraite pour l’interprète de Madame mais il a déjà franchi une étape importante en quittant l’hôpital où il avait été pris en charge.
L’amour des fans

Dans cette terrible épreuve face à la maladie, Claude Barzotti, qui a démenti cet été une hospitalisation pour alcoolisme, peut se consoler avec les messages de réconfort de ses nombreux fans. L’Italo-belge ne le cache pas. Il a été très touché par ces nombreuses marques d’affection : "Mon séjour à l’hôpital m’a fait réaliser que j’avais encore des fans. Beaucoup m’ont contacté pour me remercier du bonheur que je leur avais procuré avec mes chansons. Ça fait toujours plaisir…" Et dès qu’il aura vaincu la douleur, Claude Barzotti devrait avoir très envie de les retrouver en concert.
Commenter
 

 


      Elio Di Rupo

 

Di Rupo è figlio di emigrati italiani giunti in Belgio dall'Abruzzo, nel 1947, nel quadro di un accordo con l'Italia per portare 50.000 lavoratori italiani in Belgio[1]. I genitori provenivano dalla cittadina di San Valentino in Abruzzo Citeriore (Pescara). Il padre morì in un incidente stradale nel luglio del 1952; quando aveva esattamente un anno.

Di Rupo si laureò in chimica, e successivamente conseguì un dottorato presso l'Università di Mons, per poi specializzarsi a Leeds fra il 1977 e il 1978.

Durante gli studi cominciò a interessarsi alla politica, militando nel Partito Socialista, che corrispondeva ai suoi ideali di giustizia sociale e di libertà individuale.

Nel 1996 ha parlato pubblicamente della propria omosessualità, diventando uno dei primi uomini politici belgi di alto rango a rivelarsi. Iniziò la carriera politica nel 1982 venendo eletto deputato alla Camera dei rappresentanti belga, un seggio che, in seguito, ha sempre conservato.
Nel 1999 Di Rupo è stato eletto presidente del Partito Socialista e ha occupato ad interim, dal 15 luglio 1999 al 4 aprile 2000, la carica di presidente della regione Vallonia. Nel 2000 è stato eletto sindaco di Mons e dal 6 ottobre 2005 al 20 luglio 2007 è stato presidente della Vallonia.

L'11 luglio del 2007 Di Rupo è stato confermato presidente del PS con l'89,5% dei consensi. Primo Ministro del Belgio
L'8 luglio 2010 riceve dal Re un incarico esplorativo per formare un governo, ma dopo lunghe trattative vi rinuncia.

Il 16 maggio 2011 è di nuovo chiamato a trattative con i partiti belgi per il governo, e a ottobre 2011 riesce a trovare un accordo con alcuni partiti sulla struttura federale e sull'addio al nucleare. Il 21 novembre 2011, ha rassegnato le sue dimissioni dovute all'impossibilità di trovare un accordo sul bilancio 2012, per poi ritirarle cinque giorni dopo. Dopo ulteriori negoziati, ha prestato giuramento come Primo Ministro del Belgio il 6 dicembre 2011, mettendo fine a un lungo periodo in cui il Belgio è rimasto senza governo, dopo 541 giorni.

Di Rupo è il primo francofono (pur di origine italiana) a ricoprire la carica di Primo Ministro dopo oltre trent'anni: l'ultimo era stato Paul Vanden Boeynants nel 1979. È anche il primo socialista a tornare alla guida del Governo dopo che Edmond Leburton l'aveva lasciata nel 1974.

Il 26 maggio 2014 annuncia le proprie dimissioni in seguito ai risultati delle elezioni legislative ed europee[3], lasciando effettivamente l'incarico l'11 ottobre.

 

 

 

     Frédéric François

 

Frédéric François, nato Francesco Barracato, è un cantautore italiano naturalizzato belga. Data di nascita: 3 giugno 1950 (età 65), Lercara Friddi, Italia
Coniuge: Monique Vercauteren (s. 1970) 

Né le 3 juin 1950 à Lercara Friddi en Sicile, dans une famille très modeste de l'Italie, il est le second enfant d'Antonina dite Nina Salemi et Giuseppe Barracato dit Peppino. Sa mère est couturière à Lercara et son père d'abord mineur dans une mine de soufre à Lercara. Il émigre en Belgique dans le bassin houiller de Liège où il décroche un contrat de trois ans en tant que mineurNote 1. En 1951, Nina et ses deux fils rejoignent le père à TilleurNote 2 dans un convoi de la Croix-Rouge. Francesco Barracato grandit dans une famille de huit enfants. Peppino chante pour le plaisir des chansons napolitaines et des airs d’opéra en s’accompagnant lui-même à la guitare. Le jeune Francesco n'a que dix ans quand il chante pour la première fois en public O Sole Mio dans un café majoritairement fréquenté par des Siciliens de Tilleur, Le Passage à niveau.

 

 

 

 

 

 

 

 

      Paola Ruffo

 

Ademarus Rufus, che morì nel 1049, detenne il titolo di Comes nel sud Italia e Siggerio Ruffo diventò gran maresciallo del Regno di Sicilia del Sacro Romano Imperatore Federico II in 1235.[1] La famiglia si divise in due rami dopo il XIV secolo: i Ruffo di Calabria e i Ruffo della Scaletta, al primo dei quali appartiene la Regina.
I suoi fratelli e sorelle sono: Maria Cristina Ruffo di Calabria (1920–2003)    Laura Ruffo di Calabria (1921–1972)    Fabrizio Ruffo di Calabria (1922-2005)    Augusto Ruffo di Calabria (1925–1943), morto durante la battaglia del mare di Pescara. Il suo corpo non fu mai trovato.    Giovannella Ruffo di Calabria (1927–1941), morì per un'intossicazione alimentare    Antonello Ruffo di Calabria (nato nel 1930)  Il fratello della Regina Paola, Don Fabrizio Ruffo di Calabria-Santipau, ha guidato l'intera famiglia dal 1975, era l'erede storico dei titoli di Principe di Scilla, Principe di Palazzolo, Patrizio di Napoli, Duca di Guardia Lombarda, Conte di Sinopoli, Marchese di Licodia Eubea, Conte di Nicotera, Barone di Calanna e di Crispano. Paola è imparentata alle storiche famiglie nobili illustri romane e del sud Italia, incluso i Colonna, gli Orsini, i Pallavicini, gli Alliata i Rospigliosi i Masseo (discendenti di Frate Masseo da Marignano, discepolo di San Francesco). Tra i suoi antenati illustri dell'aristocrazia francese ci sono il Marchese de Lafayette, l'eroe dell'indipendenza americana, e i Duchi di Noailles. Dalla caduta della monarchia italiana nel 1946 i Principi Ruffo di Calabria si sono congiunti per matrimonio ad ex dinastie regnanti del genere come gli Orléans, i Savoia, i Bonaparte. Vive a Roma dove Paola frequenta le scuole dalle suore fino alla maturità classica. Dopo il diploma sostenne un atelier di alta moda in Piazza di Spagna, aperto dall'amica Marina Lante della Rovere.  Nel 1958, in occasione dell'intronizzazione di Papa Giovanni XXIII, Paola incontra Alberto del Belgio, principe di Liegi, all'ambasciata belga in Roma. Il principe è il terzogenito del re Leopoldo III del Belgio e dell'amatissima regina Astrid di Svezia: fratello del re Baldovino I e della granduchessa di Lussemburgo Giuseppina Carlotta. L'ultima regina d'Italia Maria Josè di Savoia è sua zia. Il 6 dicembre 1958 al ballo a palazzo Rospigliosi Pallavicini per i 18 anni della principessa Maria Camilla Pallavicini, si fidanzano[3].

Vive a Roma dove Paola frequenta le scuole dalle suore fino alla maturità classica. Dopo il diploma sostenne un atelier di alta moda in Piazza di Spagna, aperto dall'amica Marina Lante della Rovere.

Nel 1958, in occasione dell'intronizzazione di Papa Giovanni XXIII, Paola incontra Alberto del Belgio, principe di Liegi, all'ambasciata belga in Roma. Il principe è il terzogenito del re Leopoldo III del Belgio e dell'amatissima regina Astrid di Svezia: fratello del re Baldovino I e della granduchessa di Lussemburgo Giuseppina Carlotta. L'ultima regina d'Italia Maria Josè di Savoia è sua zia. Il 6 dicembre 1958 al ballo a palazzo Rospigliosi Pallavicini per i 18 anni della principessa Maria Camilla Pallavicini, si fidanzano[3].

Il 2 luglio 1959 Alberto e Paola si sposano a Bruxelles e fissano la loro residenza presso il castello del Belvedere. Dopo aver avuto tre figli (Filippo, Astrid, Lorenzo), la coppia affronta un periodo di crisi[4], superato alla fine degli anni Settanta.

In Italia i Ruffo di Calabria sono tuttora ricordati nelle loro avite dimore: il castello Ruffo di Scilla è senza dubbio quello che illustra maggiormente la principesca famiglia.


    Regina dei Belgio


A seguito della morte, senza figli, del cognato re Baldovino I e conseguente ascesa al trono del consorte Alberto II il 9 agosto 1993, all'età di 56 anni, la principessa Paola di Liegi diviene regina dei Belgi. Il sesto re dei Belgi (dopo Leopoldo I, Leopoldo II, Alberto I, Leopoldo III, Baldovino I) giura sulla Costituzione davanti al Parlamento, al Governo e in presenza della regina Paola, della regina vedova Fabiola e dei tre figli.
Il nuovo sovrano decide che la vedova di suo fratello Fabiola conservi il rango di "regina del Belgio" e continui ad abitare nel Palazzo Reale di Laeken. La coppia reale, invece, non lascerà il castello del Belvedere dove ha sempre vissuto. La salma del re Baldovino, molto amato dai sudditi, viene tumulata nella cripta della chiesa di Notre-Dame del castello di Laeken, dove riposano tutti i sovrani belgi. Il funerale ha visto la presenza di capi di Stato di tutto il mondo: in prima fila la regina Elisabetta II del Regno Unito che eccezionalmente partecipa personalmente a cerimonie all'estero, e la zia del defunto, l'anziana ex regina d'Italia Maria Josè, sorella di Leopoldo III.

Paola è stata la prima sovrana ad avere delle origini belghe attraverso la nonna paterna, Laure Mosselman du Chenoy. Le precedenti regine erano francesi, tedesche e la penultima spagnola.
La costituzione belga non prevede un ruolo particolare per il coniuge del Capo dello Stato. La regina Paola assiste, a fianco del marito, alle più importanti cerimonie ufficiali del Paese, lo segue nei viaggi di Stato, lo affianca nelle riunioni del Gotha e nelle occasioni in cui il Re riceve personalità straniere o belghe che si distinguano in tutti i settori. Non partecipa tuttavia alle udienze del Re, fatta eccezione per l'udienza di settembre del 1996 quando i genitori dei bambini scomparsi sono stati ricevuti a Palazzo, poco dopo la rivelazione dell'affare Dutroux.



Paola è stata la prima sovrana belga a disporre di un proprio ufficio presso il Palazzo Reale di Bruxelles. Un segretario aiutò la regina nell'organizzazione dell'agenda e sedette nel consiglio d'amministrazione della Fondation Reine Paola, mentre una dama dell'aristocrazia belga, che fungeva da dama d'onore, l'accompagnava negli impegni pubblici. Paola, da sovrana cattolica, ha avuto il privilegio del bianco in occasione delle udienze pontificie, come la regina di Spagna e, nel passato, quella di Francia e l'imperatrice d'Austria: le nobili signore non cattoliche devono indossare abiti neri. La regina dei Belgi era appunto vestita di bianco per l'intronizzazione di Benedetto XVI nel 2005 e, tre anni dopo, durante la visita con Alberto allo stesso papa per la ricorrenza delle nozze d'oro.

Il re Baldovino I aveva voluto che si modificasse la legge per la successione al trono, per permettere, a parità di diritti, che le donne diventassero regine regnanti: fino a quel momento in Belgio vigeva la "legge salica". Il 23 maggio 1997 le Poste Italiane hanno dedicato alla regina un francobollo da 750 lire che la raffigura con lo sfondo di Castel Sant'Angelo. Il 21 luglio 2013, in seguito all'abdicazione, dopo 20 anni di regno, di re Alberto II in favore del figlio Filippo, Paola, cede il titolo di regina consorte a Mathilde d'Udekem d'Acoz. Attualmente ha il rango di regina madre.

 

 

 

 

 

       Vincenzo Scifo

(La Louvière, 19 febbraio 1966) è un allenatore di calcio ed ex calciatore belga, di ruolo centrocampista.

Nacque da una famiglia di minatori italiani originari di Aragona, nella provincia agrigentina, emigrati in Belgio nel 1952. Iscritto a ragioneria, interrompe gli studi un anno prima del conseguimento del diploma per dedicarsi interamente al calcio. Dotato di un buon tiro e di un'eccellente visione di gioco, eccedeva spesso nel possesso del pallone e risultava carente in fase di interdizione[2]. Agli inizi della carriera veniva paragonato a Gianni Rivera[3], mentre Michel Platini, in una intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, lo definì come il suo unico vero "erede" per caratteristiche tecniche, tra tutti i calciatori europei della sua epoca.


Cresciuto nelle giovanili del R.A.A. Louviéroise, passò quindi all'Anderlecht, dove fece il suo debutto in prima squadra nel 1983, all'età di 17 anni. Esordì in campo internazionale con la nazionale belga nel giugno 1984 contro la Jugoslavia.

Trasferitosi all'Inter nel 1987 per 7,5 miliardi di lire[3], dopo un'annata deludente sul piano del rendimento[4], venne ceduto al Bordeaux a fine stagione. Nel 1989 quando giocò per l'Auxerre, e da lì di nuovo in Italia al Torino nel 1991 (pagato 8,7 miliardi di lire),[5] in due stagioni nelle quali raggiunse la finale di Coppa UEFA (persa contro l'Ajax) nel 1991-1992 e vinse la Coppa Italia l'anno seguente (contro la Roma). Da qui andò poi al Monaco nel (1993), all'Anderlecht nel 1997 e si terminò la carriera nello Charleroi nel 2001, dopo aver scoperto di soffrire di artrite cronica.

 

Nazionale

Ha partecipato col Belgio ai Mondiali del 1986, 1990, 1994, e 1998, giocando 16 partite. Ha totalizzato 84 presenze internazionali, segnando 18 gol. La rete che realizzò il 17 giugno 1990 a Verona nella fase dei gironi al Mondiale del 1990 disputatosi in Italia, contro l'Uruguay, e che valse il 2-0 per il Belgio, entrò nella top 10 nella classifica del gol del secolo, ricevendo quasi 3.000 voti: un tiro rasoterra angolato da 35 metri.


Allenatore
Intraprese quindi la carriera di allenatore, iniziando dallo Charleroi, nella stagione 2001-2002. Si dimise nel giugno 2002.
Dopo aver allenato una squadra della seconda divisione belga, lo A.F.C. Tubize, ed aver avuto un ruolo manageriale nel Bruges, alla fine del 2007 ha firmato un contratto per allenare il Mouscron nella massima serie belga. Nel febbraio 2012 riceve l'incarico di guidare la squadra del Mons

 

 

 

 

La tragedia dell'heysel

La strage dell'Heysel (pron. Fu una tragedia avvenuta il 29 maggio 1985, poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600.

Ai molti tifosi italiani, buona parte dei quali proveniva da club organizzati, fu assegnata la tribuna delle curve M-N-O, che si trovava nella curva opposta a quella riservata ai tifosi inglesi; molti altri tifosi organizzatisi autonomamente, anche nell'acquisto dei biglietti, si trovavano invece nella tribuna Z, separata da due basse reti metalliche dalla curva dei tifosi del Liverpool, ai quali si unirono anche tifosi del Chelsea, noti per la loro violenza (si facevano chiamare headhunters, "cacciatori di teste").
Circa un'ora prima della partita (ore 19.20; l'inizio della partita era previsto alle 20.15) i tifosi inglesi più accesi – i cosiddetti hooligan – cominciarono a spingersi verso il settore Z a ondate, cercando il take an end ("prendi la curva") e sfondando le reti divisorie: memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini, reazione che non sarebbe mai potuta esserci, dato che la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta (settori M - N - O). Gli inglesi sostennero di aver caricato più volte a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori, juventini e non, impauriti, anche per il mancato intervento e per l'assoluta impreparazione delle forze dell'ordine belghe, che ingenuamente ostacolavano la fuga degli italiani verso il campo manganellandoli, furono costretti ad arretrare, ammassandosi contro il muro opposto al settore della curva occupato dai sostenitori del Liverpool.

Nella grande ressa che venne a crearsi, alcuni si lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere schiacciati, altri cercarono di scavalcare gli ostacoli ed entrare nel settore adiacente, altri si ferirono contro le recinzioni. Il muro ad un certo punto crollò per il troppo peso, moltissime persone rimasero schiacciate, calpestate dalla folla e uccise nella corsa verso una via d'uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. Dall'altra parte dello stadio i tifosi juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due squadre che invitavano alla calma, senza tuttavia capire quello che stava realmente accadendo. Un battaglione mobile della polizia belga, di stanza a un
Alcuni giocatori della Juventus, tra cui Michel Platini, autore della rete decisiva, furono molto criticati da alcuni mass media italiani per essersi lasciati andare a esultanze eccessive vista la gravità degli eventi, ma la gioia durò poco: infatti lo stesso Platini il giorno dopo, quando tutti eran venuti a conoscenza della morte di 39 persone, dichiarò che di fronte a una tragedia di quel genere i festeggiamenti sportivi passavano in secondo piano. Anche Giampiero Boniperti, presidente bianconero, affermò che di fronte a quella situazione non era il caso di festeggiare la vittoria mentre il sindaco di Torino Giorgio Cardetti censurò l'esultanza nelle strade di alcune frange di sostenitori.

Nel 1995, in occasione del 10º anniversario della strage, Platini affermò in un'intervista rilasciata al quotidiano La Stampa che i giocatori erano a conoscenza solo parzialmente dell'accaduto e che i festeggiamenti per la vittoria insieme al resto della tifoseria juventina presente allo stadio, quasi ignara della vera situazione, fossero gesti spontanei[2]. In una intervista Zbigniew Boniek ha dichiarato che non avrebbe voluto giocare quella partita e che non ritirò il premio partita per quella vittoria[3], mentre nel 2005 Marco Tardelli si è scusato per i festeggiamenti nel corso di un'intervista televisiva.

 

 

 

 

    Marcinelle

 

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio.

Si trattò di un incendio, causato dalla combustione di olio ad alta pressione a causa di una scintilla elettrica, che, sviluppatosi vicino al condotto dell'aria principale, riempì di fumo tutto il pozzo minerario, provocando la morte di 262 delle 275 persone ivi presenti, in gran parte emigranti italiani. L'incidente è terzo per maggior numero di vittime tra gli italiani all'estero, dopo Monongah e Dawson.

Alle 7:56 dell'8 agosto Antonio I., addetto alle manovre del livello 975 m, una volta caricato l'ultimo carrello pieno dà il via alla rimonta[4]. Poi lascia il suo posto di lavoro e va alla ricerca di altri carrelli pieni; il suo aiutante Vaussort rimane sul posto.

Verso le 8:00 Mauroy, addetto alle manovre in superficie, telefona a Vaussort poiché ha bisogno dell'ascensore per il piano 765 m. Mauroy e Vaussort prendono un accordo previsto dai protocolli di lavoro, ma che in seguito risulterà fatale. L'accordo è il seguente: per due viaggi l'ascensore sarà "libero", e questo permette a Mauroy di fare partire l'ascensore senza il via libera del piano 975 m: ma questa decisione implica che il piano 975, per 2 volte, non potrà più caricare l’ascensore. Dopo essersi accordato, a sua volta Vaussort parte alla ricerca di vagoncini pieni; secondo le registrazioni del "Rockel" sono le 8:01 min e 40 sec.

Alle 8:05 uno dei due ascensori (d'ora in poi indicato con A) arriva al piano 765 m per essere caricato. L'altro (B) si ritrova nel pozzo verso 350 m[5]. Alle 8:07 l'ascensore A è carico e rimonta in superficie, mentre B riscende a 975 m. Durante questa movimentazione, Antonio I. è ritornato al suo posto di lavoro. Qui vi sono due versioni divergenti. Secondo Antonio I., lui avrebbe chiesto al suo aiutante Vaussort se potesse caricare, ricevendone una risposta affermativa; mentre secondo Mauroy, Vaussort era ancora assente e quindi non avrebbe potuto autorizzare Antonio I. a caricare, e neppure avvertirlo che quell’ascensore gli era vietato. Nessuna delle due versioni è totalmente soddisfacente, Vaussort morirà nella sciagura e non potrà quindi testimoniare e confermare una delle due versioni o fornirne una sua terza.

Alle 8:10, l’ascensore A arriva in superficie mentre B arriva al livello 975. Incurante (o ignaro) del fatto che quell'ascensore gli fosse vietato, Antonio I. comincia a caricare i vagoncini pieni, arrivati dai cantieri durante la sua assenza. Ma la manovra non riesce: il sistema che blocca il carrello durante la rimonta dell’ascensore s’inceppa. Questo sistema avrebbe dovuto ritirarsi un breve istante per lasciare uscire totalmente il vagoncino vuoto. Ma ciò non accade, e i due vagoncini si ritrovano bloccati e sporgenti dal compartimento dell’ascensore. Il vagoncino vuoto sporge di 35 cm, mentre il pieno sporge di 80 cm. Per Antonio I. la situazione è fastidiosa ma non pericolosa: è sicuro che l’ascensore non partirà senza il suo segnale di partenza. In superficie Mauroy ignora totalmente la situazione verificatasi al piano 975 m. Mauroy è nel protocollo di lavoro «ascensore libero» e farà partire l’ascensore allorché avrà finito di scaricare i vagoncini rimontati dal piano 765 m.

Alle 8:11 Mauroy ha finito di scaricare l’ascensore A e dà il via alla partenza, il che immancabilmente provoca anche la partenza dell'ascensore B. Al piano 975 m Antonio I. vede l’ascensore B rimontare bruscamente. Nella risalita l'ascensore, con i due vagoncini sporgenti, sbatte in una putrella del sistema di invio. A sua volta questa putrella trancia una condotta d'olio a 6 kg/cm² di pressione, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt), oltre alle condotte dell'aria compressa che servivano per gli strumenti di lavoro usati in fondo alla miniera: tutti questi eventi insieme provocarono un imponente incendio. Essendo questo avvenuto nel pozzo di entrata dell'aria, il suo fumo raggiunse ben presto ogni angolo della miniera causando la morte dei minatori. In quanto al fuoco, la sua presenza si limitò ai due pozzi e dintorni, ma il suo ruolo fu determinante perché tagliò ogni via d'accesso nelle prime ore cruciali, fra le 9 e le 12. L'incendio non scese sotto il piano 975 m mentre divampò nei pozzi fino al piano 715 m. A questo piano Bohen, prima di morire, annotò nel suo taccuino "je reviens de l'enfer" (ritorno dall'inferno). L'allarme venne dato alle 8:25 da Antonio I., il primo risalito in superficie tramite il secondo pozzo, anche se già alle 8:10, in superficie, si era capito che qualcosa di gravissimo era accaduto poiché il motore dell'ascensore (1250 CV) si era fermato e il telefono non funzionava più (il responsabile Gilson era corso ad avvertire l'ingegnere Calicis che probabilmente erano di fronte a un cassage de fosse, cioè a una "rottura nel pozzo", un deragliamento). Calicis ordinò al suo aiutante Votquenne di scendere nelle miniera per informarsi.

Verso le 8:30 Votquenne è pronto a scendere ma il freno d'emergenza è bloccato per mancanza di pressione d'aria. Questo era dovuto alla rottura della condotta in fondo al pozzo, il che aveva svuotato il serbatoio in superficie. Votquenne ordina la chiusura della condotta d'aria che scende nel pozzo: ci vorranno più di 10 minuti per ristabilire una pressione sufficiente. Votquenne e Matton scendono senza equipaggiamento, arrivano sotto 835 m ma devono rinunciare a causa del fumo. Nel frattempo 6 minatori superstiti arrivano in superficie mentre Stroom scende nella miniera.
Alle 8:35 Calicis telefona alla centrale di soccorso chiedendo di tenersi pronti e precisa che richiamerà in caso di bisogno.

Alle 8:48 Calicis chiede l'intervento della centrale di soccorso distante 1,5 km dalla miniera. I soccorritori impiegheranno 10 minuti per arrivare.
Alle 8:58 la prima squadra di soccorritori arriva sul posto. Votquenne e uno dei soccorritori equipaggiati con i respiratori Dräger fanno un secondo tentativo. Arrivano a 1035 m ma non riescono ad uscire dall'ascensore, in quanto i suoi occupanti erano montati nel terzo compartimento dell'ascensore fermo a 3,5 m più in alto del livello di uscita. Odono dei lamenti ma l'addetto alle manovre non risponde più alle loro chiamate[6], probabilmente già incosciente. In superficie, Gilson decide di far rimontare l'ascensore. Rimontando, a livello 975, Votquenne vede già le fiamme che hanno raggiunto l'ultima delle tre porta di sbarramento fra i due pozzi.
Verso le 9:10 il pozzo di estrazione dell'aria era a sua volta inutilizzabile, raggiunto dall'incendio. I cavi delle gabbie di questo pozzo cedettero a poco a poco. Il primo si spezzò verso le 9:30, il secondo cavo si spezzò verso le 10:15[7].

Verso le 9:30 due persone tentarono, senza equipaggiamento, di farsi strada attraverso un tunnel laterale comunicante col pozzo in costruzione. Il tentativo risultò vano. Il passo d'uomo venne allargato solo quattro ore e mezza più tardi e ciò permise di scoprire numerosi cadaveri. D'altro lato fu anche verso

le 9:30 che si decise di fermare la ventilazione.
Alle 10:00 Calicis decide di separare i due cavi del pozzo numero I. Questo permetterà di servirsi dell'ascensore rimasto bloccato in superficie. Questo lavoro lungo e delicato sarà finito poco prima mezzogiorno.

Alle 12:00 3 uomini, Calicis, Galvan e un soccorritore, scendono fino a 170 m ma un tappo di vapore impedisce loro di continuare.

Alle 13:15 Gonet, il caposquadra del piano 1035 lascia un messaggio su una trave di legno. «On recule pour la fumée vers 4 paumes. On est environ à 50. Il est 1h 1/4. Gonet» ("Indietreggiamo per il fumo verso 4 palmi. Siamo circa 50. È l'una e un quarto. Gonet"). Questo messaggio sarà ritrovato dai soccorritori il 23 agosto.
Verso le 14:00 si decide di rimettere la ventilazione in marcia.
Verso le 15:00 una spedizione scende attraverso il primo pozzo e scopre tre sopravvissuti. Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un'altra spedizione. Il 22 agosto, alle 3 di notte, dopo la risalita, uno di coloro che da due settimane tentavano il salvataggio dichiarò in italiano: «tutti cadaveri». Persero la vita 262 uomini, di cui 136 italiani e 95 belgi. Solo 13 minatori sopravvissero.