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Nocciole

Castagne

Olio

Torrone

Cipolla ramata

Tartufo

Pera

Noci

Fichi

 

 

 

 Le nocciole

Da un pianta di origini antiche deriva questo frutto che in Irpinia, terra del nocciolo, dal ben adatto suolo calcareo, trova espressione e gusto peculiari. La nocciolicultura irpina si presenta in alcuni territori, Vallo di Lauro e Baianese, Valle del Sabato, area del Partenio, Valle Caudina, regina della tavola e della natura, con le sue cultivar Mortarella, Camponica e San Giovanni, riconosciute dal Ministero delle politiche agricole prodotto agroalimentare tradizionale italiano.


La Mortarella
La nocciola Mortarella campana ha una dimensione medio  piccola con frutti anche non uniformi, il guscio medio-sottile, di colore marrone chiaro. La forma è leggermente allungata, si distingue per il perisperma (la pellicola interna) facilmente staccabile. La polpa è di colore bianco-avorio, consistente, aromatica; tostata ricorda i sentori di crosta di pane e caramello.


I comuni della provincia di Avellino che rientrano nell'area di produzione:
Aiello del Sabato, Altavilla Irpina, Atripalda, Avella, Avellino, Baiano, Capriglia Irpina, Cesinali, Contrada, Domicella, Forino, Grottolella, Lauro, Manocalzati, Marzano di Nola, Mercogliano, Monteforte Irpino, Montefredane, Moschiano, Mugnano del Cardinale, Ospadaletto d'Alpinolo, Pago del Vallo di Lauro, Prata P.U., Pratola Serra, Quadrelle, Quindici, S.Lucia di Serino, S.Michele di Serino, S.Potito Ultra, S.Stefano del Sole, Serino, Sirignano, Sperone, Summonte, Taurano.


La Camponica
 
Denominata anche la Tonda o tonda camponica, la nocciola Camponica ha una forma subellissoidale, il seme è grande ed una polpa soda, bianca, con perisperma facilmente staccabile alla torrefazione è ottima per il consumo da tavola; Area di produzione: provincia di Avellino
 
 
 
La San Giovanni
 
Detta anche sangiovannara o sanjovanna, la cultivar San Giovanni si presenta con una forma sub cilindrica ed una discreta friabilità. Il guscio  è medio-sottile di colore marrone chiaro.
Il frutto tostato si caratterizza per l'aroma di media intensità che ricorda la crosta di pane. Area di produzione: provincia di Avellino
 

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  Il torrone

 

Ospedaletto D'Alpinolo, è un piccolo borgo situato alle falde dei Monti del Partenio, da sempre legato all'Abbazia di Montevergine, da cui trae origine l'antico rito della Juta a Montevergine, la processione della Candelora lungo il sentiero di Mamma Schiavona.

 Un tradizionale pellegrinaggio, tra sacro e profano, con carretti, macchine e cavalli addobbati a festa, canti, balli, tammurriate, per onorare la "Mamma Celeste". Il borgo è noto per la per la produzione del torrone che in questa zona è chiamato "cupeto". La versione classica è realizzata con metodi artigianali utilizzando le materie prime del territorio: miele, nocciole avellane, albume ed ostie. Il torrone di Ospedaletto d'Alpinolo è un prodotto di antiche tradizioni consumato durante i pellegrinaggi al vicino Santuario di Montevergine, pregiato e ricercato capace di conquistare i palati moderni.

Spantorrone di Grotta
Si tratta di un tipo di pan torrone prodotto nel territorio di Grottaminarda nella valle Ufita. E' caratterizzato da una particolare friabilità allo spacco che avviene sbriciolandosi in scaglie. La ricetta originale prevede l'utilizzo della torroniera, il miele e l'albume vengono riscaldati per molte ore e si aggiungono le nocciole e le mandorle, aromatizzandole con la vaniglia. Il prodotto successivamente viene steso negli stampi e coperto di fettine di Pan di Spagna imbevute di rhum e liquore strega.

Pantorrone

Il prodotto di antiche tradizioni viene realizzato in tutta la provincia di Avellino. Si tratta di un dolce costituito da torrone e Pan di Spagna, alternati in diversi strati, ricoperto di cioccolato fondente. Il pantorrone viene preparato utilizzando uova, zucchero, farina, miele, mandorle, vanillina, liquore strega o rhum per la parte interna e zucchero e cacao per il rivestimento esterno. La cottura a bagnomaria viene effettuata nella tradizionale torroniera. Rinomati sono i torronifici situati a Dentecane, piccola frazione del comune di Pietradefusi.

Torrone di castagna
Nei territori di Bagnoli Irpino, Cassano Irpino e Montella, aree maggiormente vocate alla coltivazione della castagna, si produce un torrone, detto anche "pantorrone" o "spantorrone" di castagne. Si ottiene con un tradizionale impasto di miele, albume e zucchero a velo arricchito da una gustosa farcitura a base di castagne, candite oppure in pasta ed aggiunta di cacao e rhum.

 

 

 

 
 
 

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 Cipolla Ramata di Montoro
 
 
La cipolla Ramata di Montoro è coltivata e prodotta da secoli nella zona del Montorese, comune di confine tra la provincia di Avellino e la provincia di Salerno. La selezione e la costituzione di questo ecotipo è avvenuta grazie alla intraprendenza e alla laboriosità dei contandini della zona.

Il nome della cipolla Ramata di Montoro deriva dai luminosi riflessi ramati delle tuniche esterne che la ricoprono, dalla forma che va dal globoso a trottola e il globoso tendente al piatto e, infine, dalle sue particolari catafille interne che sono bianche con sfumature longitudinali color viola. Originaria della zona di Montoro Inferiore, da qualche anno la coltivazione di questo pregiato bulbo si è diffusa anche in altri comuni della provincia di Avellino e Salerno situati in prossimità dei Monti Picentini.
 
La cipolla Ramata di Montoro è inserita negli specifici elenchi del ministero politiche agricole e forestali (elenchi regionali e provinciali dei prodotti agroalimentari tradizionali della regione Campania) dal decreto n.350, 8 settembre 1999, ed è tra i prodotti agroalimentari di riferimento per il comparto ortofrutticolo regionale. 
 
Il profumo dolce e delicato della cipolla Ramata di Montoro la fa apprezzare sia cruda che nelle più svariate proposte culinarie. Il suo sapore unico è esaltato particolarmente nelle preparazioni caratterizzate da lunghe cotture grazie a una fibra tenace e resistente che si conserva in tutta la sua fragranza.
Buona con le insalate è straordinaria come base per i risotti, soprattutto di mare, ma raggiunge la sua apoteosi con la tradizionale "genovese", piatto storico della cucina napoletana.
 
 
 
 

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 La pera mast'antuonu
 

La pera Mastantuono, detta anche “pera ‘e Mast’Antuono’” prodotta nelle aree interne della Campania e in particolare nelle province di Avellino, Salerno e Napoli è una pera di dimensioni molto piccole, rotondeggianti, con il peduncolo corto. È di colore tendente al giallo con picchiettature e screziature marroni e la sua polpa è soffice e profumatissima. Matura nel mese di novembre e viene coltivata in impianti caratterizzati da forme di allevamento a vaso classico. La pera Mastantuono, oltre che consumata fresca, è anche ottima per la trasformazione: è un ingrediente privilegiato per il confezionamento della marmellata, oppure viene usata in pasticceria imbottita con ricotta e ricoperta di cioccolata. Negli ultimi anni la pera Mastantuono, ha, purtroppo, subito la stessa sorte di altre varietà locali: si trova più raramente poiché, nonostante le sue ottime qualità organolettiche, è stata soppiantata da varietà commercialmente più apprezzate.
 
 

 

 

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I Fichi

 
I fichi di San Mango sono una produzione tipica di alcuni comuni avellinesi quali Castelfranci, Paternopoli, Caposele, Fontanarosa e, non ultimo, San Mango sul Calore, da cui prendono il nome.
 
Le piante di questa varietà di fico, sono resistenti alle basse temperature, producono un frutto dalla forma leggermente appiattita, che si presenta con una buccia sottile, di colore giallo arancio nel momento in cui viene raccolto, che diventa rosso una volta raggiunta la maturazione fisiologica.
 
Il fico di San Mango ha una polpa molto succosa color bronzo scuro, talvolta tendente al rosso, con semi numerosi e un  saporecaratteristico, poco zuccherino. Matura tra fine giugno e inizi di luglio.
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 Le castagne
 
Le castagne del prete sono un prodotto tipico delle feste natalizie; anticamente venivano preparate solamente in Irpinia, nell’Avellinese, zona nota per la coltivazione castanicola, utilizzando i forni presenti nelle abitazioni rurali. Oggi sono conosciute anche nel resto della Campania, ma la loro tecnica di produzione è rimasta invariata: in locali detti “gratali”, le castagne fresche ancora con il guscio, vengono disposte su graticci di legno, al di sotto dei quali si accendono i fuochi alimentati da legna di castagno. Il fuoco deve essere lasciato acceso per 15 giorni, in modo tale da fare seccare completamente le castagne, che dopo vanno tostate in forno per 30 minuti circa.
 
A questo punto, per farle insaporire e reidratare, vengono immerse in cassoni di plastica pieni di acqua o di acqua e vino. Si dicono castagne “infornate” o “nvornate”, quando vengono sgusciate prima di essere poste sul fuoco.
 
Quando, invece, le castagne sono caratterizzate da un’alta percentuale di umidità, nonostante la permanenza sui graticci, rimangono “mosce” e, una volta tolte dal fuoco, vengono infilate ad uno spago, a mo di rosario ed appese in attesa di essere consumate.
 
 
 
 
 
Le castagne mosce o “tenerelle”, nate come castagne del prete mal riuscite oggi si preparano di proposito, poiché sono assai richieste dal mercato, essendo molto saporite e zuccherine, oltre che conservabili per diversi mesi.
 

 

 

 

 

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Olio

L'olio extravergine di oliva “Irpinia Colline dell'Ufita DOP” presenta senza dubbio caratteristiche organolettiche di grande pregio. E' di colore verde, se giovane, fino a giallo paglierino, di diversa intensità. All'olfatto si rivela fruttato, con piaceOliovoli note erbacee e netti sentori di pomodoro acerbo, percepibili distintamente anche al gusto; all'assaggio è armonico, con intense, ma sempre piacevoli ed equilibrate sensazioni di amaro e piccante, in armonia con l'elevato contenuto in polifenoli. L’acidità, inoltre, non supera il valore di 0,50%, con punteggio al panel test non inferiore a 7.
L'olio “Irpinia Colline dell'Ufita DOP” deve derivare per non meno del 60% dalla varietà Ravece (valore elevato all’85% per i nuovi impianti); per la restante parte possono concorrere altre varietà locali, quali l'Ogliarola, la Marinese, l'Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte.

Estremamente ridotto (non più del 10 %) l’apporto ammesso di altre varietà non autoctone, quali il Leccino o il Frantoio.
Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali delle Colline dell’Ufita, che assicurano all’olio che ne deriva l’elevato e noto pregio qualitativo. La raccolta viene effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno e le olive vengono molite entro due giorni dalla raccolta.

La resa al frantoio non può eccedere il 20%. L'olio “Irpinia Colline dell'Ufita DOP” è il risultato della perfetta armonia tra ambiente, varietà, capacità imprenditoriale e tradizione, che in Irpinia risultano essere antichissime. L’area di produzione della DOP coincide con quella di coltivazione delle varietà più pregiata dell’olivicoltura irpina e che è assurta a simbolo dell’olivicoltura di qualità: la Ravece.

La Ravece è una cultivar di origine sconosciuta, ma almeno dal ‘500 diffusa quasi esclusivamente nel territorio ufita-arianese, componente privilegiata della dieta mediterranea che in quest’area si caratterizza sul trinomio vino pane e olio. La notevole presenza di note aromatiche e il suo gusto fruttato intenso fa prediligere l’uso di quest’olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione irpina, zuppe, bruschette e grigliate di carne. Essendo un prodotto di gran pregio per la sua categoria, attraverso il riconoscimento della DOP potrà essere conosciuto ed apprezzato non solo a livello locale ma sui mercati nazionali ed internazionali.

Cenni storici
Dopo i vini, ormai noti in tutto il mondo, l'Irpinia si pone all'attenzione dei consumatori più esigenti con i suoi oli di pregio, riscuotendo sui mercati crescenti consensi.


Gli oli irpini sono il risultato della perfetta armonia tra ambiente, varietà, capacità imprenditoriale e tradizione, che qui è antichissima. Infatti, la presenza dell'olivo nell’avellinese risale ad epoca romana, come è ampiamente documentato da numerosi reperti. Furono proprio i Romani, appunto, a costruire i primi strumenti per la spremitura delle olive e a perfezionare sempre di più le tecniche di conservazione dell'olio.
La massima diffusione dell’olivicoltura in Irpinia si ebbe però in era angioina, per poi svilupparsi in quella aragonese (XIV secolo) e consolidarsi definitivamente nell’800.

La testimonianza della presenza massiccia dell’olivo nell’Ufita è fornita dalle ampie distese di alberi secolari nelle colline arianesi, cuore dell’olivicoltura irpina. Nella sola “Città di Ariano”, nel 1794, erano presenti “dodici molini da macinar olive, chiamati volgarmente trappeti, a quali sono addetti i cavalli per farli girare…”, che diventano, agli inizi dell’800, 29 come afferma Nicola Flammia nella “Storia della Città di Ariano”: “…ci sono 29 trappeti o frantoi di olive, quali dentro e quali fuori dell’abitato”.


Numerose sono anche le testimonianze storiche relative alla grande influenza che l’olivo ebbe sull’economia delle popolazioni rurali della zona che si specializzarono non solo nella produzione dell’olio, ma anche in quella delle anfore, atte a contenere il già ricercato prodotto.
All'alba del terzo millennio, l'olio di oliva dell’Ufita costituisce ancora un prodotto carico di misticismo e soprattutto un componente fondamentale della famosa dieta mediterranea, della quale molti esperti attestano gli aspetti benefici per la salute.

Area di produzione
L'area di produzione dell'olio “Irpinia Colline dell'Ufita DOP” di fatto coincide con quella di coltivazione della varietà che è assurta a simbolo dello sviluppo dell'olivicoltura di qualità dell’Irpinia e non solo: la Ravece. In particolare, l'area comprende 38 comuni dell'Ufita e della Media Valle del Calore, in provincia di Avellino, che sono: Ariano Irpino, Bonito, Carife, Casalbore, Castel Baronia, Castelfranci, Flumeri, Fontanarosa, Frigento, Gesualdo, Greci, Grottaminarda, Lapio, Luogosano, Melito Irpino, Mirabella Eclano, Montaguto, Montecalvo Irpino, Montefusco, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, San Nicola Baronia, San Sossio Baronia, Sant'Angelo all'Esca, Savignano Irpino, Scampitella, Sturno, Taurasi, Torella dei Lombardi, Torre le Nocelle, Trevico, Vallata, Vallesaccarda, Venticano, Villamaina, Villanova del Battista, Zungoli.

Dati economici
La superficie olivetata dell’area di produzione dell’olio “Irpinia Colline dell'Ufita DOP” si aggira intorno ai 3.500 ettari, con oltre 9000 aziende produttrici. La produzione dell’olio è pari a circa 25.000 q.li all’anno che corrispondono a due terzi circa della produzione provinciale. Le aziende imbottigliatrici potenzialmente interessate alla produzione dell’olio DOP sono una trentina. Il fatturato medio annuo è stimato in 2,7 milioni di euro, valutando che la DOP interesserà, in fase di avvio, il 15 % della produzione. Il riconoscimento della DOP e il crescente interesse commerciale verso tale prodotto ha rivitalizzato l’intero comparto, in cui si registrano anche significativi successi di aziende produttrici non solo sul mercato locale e regionale ma anche presso la moderna distribuzione. Peraltro, da tempo l’offerta di olio Ravece prodotto nell’area è percepita dai consumatori come di alto livello di qualità e quindi elevata è la richiesta del prodotto stesso che con la DOP dovrebbe ulteriormente rafforzarsi. Si segnala anche una discreta presenza di produzione biologica che, sommata alla certificazione con il marchio DOP, costituisce un’ulteriore opportunità commerciale per le aziende produttrici.

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 Il tartufo

Al tartufo nero è tradizionalmente abbinato il nome di Bagnoli Irpino dove sono presenti numerose tartufaie e che che rappresenta il centro campano più importante di commercializzazione. In realtà il tartufo si raccoglie nel periodo invernale, da ottobre a marzo su tartufaie localizzate nella zona montana, dagli 800 ai 1500 metri sul livello del mare, del massiccio dei Monti Picentini, che comprendono la provincia di Avellino e di  Salerno.
 
È caratterizzato dal un peridio, o scorza, di colore nero con sculture poco rilevate, dette verruche, e dalla gleba, o polpa, con venature di colore bianco-grigiastre. Questa specie di tartufo vive in simbiosi con latifoglie e sempreverdi presenti nella zona montana, come il faggio o il pino nero. Nelle aree tradizionali questo tartufo viene  ricercato da almeno due secoli e mezzo, documenti recenti ne attestano l’uso fin dai tempi del re Carlo III Borbone.
 
 
 
L’uso del tartufo nella cucina tipica era, fino agli settanta, venduto esclusivamente fresco, dopo la pulizia della scorza con uno spazzolino, per preparare rinomata insalata di tartufo “alla bagnolese”, piatto di carattere da abbinare come contorno al pranzo delle feste natalizie, o i condimenti per spaghetti o penne aglio e olio, frittata o, addirittura, per la pizza. Oggi è possibile consumare il tartufo durante tutto l’anno nelle paste tartufate, confezionato sott’olio, o conservato in barattoli di vetro o di latta con acqua e sale, dopo pulitura e sterilizzazione in autoclave
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Le noci
 
 
 
La noce “malizia” o “milizia” (in foto) è coltivata nel Napoletano e nell’Avellinese, soprattutto nelle zone del Vallo Lauro e dell’Acerrano Nolano.
 
È un frutto di forma allungata, leggermente ellittica, dal guscio sottile, chiaro e poco rugoso; è di dimensioni medio grandi ed ha un gheriglio di colore biondo chiaro ed una polpa soda e chiara dal sapore ottimo. Viene normalmente coltivata in consociazione al noccioleto ed i suoi frutti vengono raccolti tramite bastonatura e poi essiccati.
 
Anche la Malizia è afferente alla popolazione di ecotipi della Noce di Sorrento. In provincia di Avellino, in particolare nella zona del Vallo Lauro Baianese, nei comuni di Quindici e Moschiano si produce un’altra varietà di noce, simile alla Malizia, con frutto a pezzatura media, detta noce di San Martino, particolarmente apprezzata per le sue buone caratteristiche qualitative.